Riscoprire la gioia di essere cristiani autentici. Omelia per la Domenica delle Palme e della Passione del Signore

Carissimi,
oggi, Domenica delle Palme, ricordiamo l’ingresso del Signore Gesù nella città santa di Gerusalemme e iniziamo la Settima Santa, la più importante dell’anno liturgico, perché è dalla Pasqua che tutto prende Vita.
1.
Quest’anno entriamo nella santa città di Gerusalemme e nella grande settimana molto diversamente, segnati ancora da questa situazione, che ci inserisce ancor più nel mistero della Passione del Signore. Mai come in questi anni avremmo pensato di viverla in questo modo, relegati, come siamo, nelle nostre case, al punto tale da non poter partecipare fisicamente nella liturgia all’ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme. Mai come oggi possiamo affermare che, quell’evento vissuto da Cristo, diventa, per la situazione in cui ci troviamo, non un semplice ricordo, ma un fatto vivo e concreto che oggi si incarna nella nostra esistenza: vi entra con la forza della fede, la interpella con la potenza della speranza e la trasforma mediante la carità con significati nuovi e responsabilità precise.
2.
Gesù entra in Gerusalemme, mentre la gente gli fa festa, agitando rami di ulivo e di palma, con acclamazioni e gesti di gioia. È una festa improvvisata, ma voluta da Gesù, che finalmente si rivela come Unto del Signore, il Cristo, il Messia atteso da Israele, il Salvatore di tutti i popoli della terra, perché nel suo sacrificio della Croce, svelandosi radicalmente, nulla potrà ottenebrare la sua figura. Esultiamo anche noi di gioia, come dice il profeta: «Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina» (Zc 9,9). Per tutti noi c’è, anche in questa prova, l’invito a fare festa, ad andare dietro al Signore Gesù, per riconoscerlo come l’unico Salvatore, che cambia decisamente la storia del mondo e la nostra.
3.
Se, finora, ci fossimo comportati come “cristiani omologati”, quelli che cioè sono ripieni di una fede ripetitiva, fredda, anonima e impersonale, nell’ingresso di Gesù a Gerusalemme, dovremmo provare ad aprire gli occhi e il cuore. Dovremmo lasciarci invadere e colmare dall’amore e dalle parole di Dio per noi, che danno senso alla nostra vita e ce ne fanno intravedere la ricchezza immensa. Dovremmo, nel nostro cuore, metterci anche noi nella lunga fila di tutti coloro che nei secoli hanno espresso la loro gioia. Dovremmo, nel nostro intimo, riscoprire le ragioni autentiche del nostro essere discepoli del Cristo. Dovremmo, con la potenza della nostra creatività, inventare gli aggettivi più belli e più veri da unire al nome di Cristo. Dovremmo già immaginare, con la forza del nostro pensiero, i gesti da compiere per dire a Cristo la nostra riconoscenza e il nostro desiderio di seguirlo per ricominciare così quel rapporto vivo e personale, intimo e cordiale, affetto profondo che cambia il cuore e lo riempie di irresistibile entusiasmo. Sentiremmo, allora, nascere e crescere in noi la gioia del nostro rapporto rinnovato con il Signore della Vita e la Speranza che non delude, perché fondata sulla roccia, che è Cristo.
4.
Inizia oggi la Grande Settimana, che noi chiamiamo Santa, proprio perché ci conduce a entrare nel mistero santo di Gesù; che ci invita a lasciarci stupire e commuovere dal suo amore; che ci interpella a volerlo seguire con più coerenza e generosità in tutte le espressioni del nostro vivere. Anche noi, come gli apostoli 2000 anni fa, saremo chiamati a seguire Gesù nella Cena pasquale della Nuova ed eterna alleanza; nell’agonia del Getsemani; nel processo meschino e pretestuoso contro di lui; nella sua infame condanna a morte sulla croce. Fatti crudeli e assurdi, del tutto contrari a quanto la fede ci insegna su di Lui e sulla sua divinità, così come, in quest’ora di pandemia, tutto sembra così oscuro e senza fine. È probabile che, come accadde 2000 anni fa agli stessi apostoli, in questo momento dubitiamo e non comprendiamo appieno tutto questo (cfr. Gv 12,16). È verosimile che non afferriamo tutto ciò che la fede ci dice. È naturale, ma non dimentichiamoci che è proprio della fede il “fidarsi”, cioè il tener conto di altri momenti e di altre chiarezze che garantiscono l’amore di Dio, il suo essere comunque presente e vicino a noi, il suo interessarsi instancabile e premuroso di ciascuno di noi. Sarà allora il ricordo dell’amore di Dio conosciuto e vissuto in altre occasioni a donare luce e forza in questi momenti oscuri e difficili che la vita ci sta riservando.
Accogliamo, pertanto anche in questo anno, l’invito che la Chiesa ci rivolge: «Accompagniamo con fede e devozione il nostro Salvatore nel suo ingresso nella città santa, e chiediamo la grazia di seguirlo fino alla croce, per essere partecipi della sua risurrezione».

Buona Domenica e buon inizio della Grande Settimana.
Vi abbraccio e vi benedico paternamente

Vostro padre Marco

Novara 5 aprile 2020
Domenica delle Palme e della Passione del Signore