La Porta attraverso cui si riceve la Vita. Omelia per la 4a domenica di Pasqua

Miei cari,

la IV domenica di Pasqua è solitamente connotata con il titolo di “Domenica del Buon Pastore”, perché nei tre cicli liturgici domenicali viene proclamato il passo dell’evangelista Giovanni al capitolo X, nel quale Gesù si presenta come Buon Pastore. Ma ogni ciclo ne sottolinea un aspetto particolare. Quest’anno, il ciclo A, insiste sul tema della “Porta” (Gv 10,1-10). Vi commento il brano, partendo proprio da questa affermazione: «Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo».

L’immagine della porta ha un duplice significato: essa riguarda non solo Gesù, svelandoci una dimensione essenziale del suo mistero, ma è rivolta anche a noi tutti in ciò che concerne la nostra salvezza eterna. Con un “nota bene” finale.

1.

L’immagine, in primo luogo, parla di Gesù. La porta è il luogo di passaggio obbligato “per entrare ed uscire”, usato dalle persone rettamente intenzionate. Gesù è, così, il passaggio per «quanti lo invocano» e per «quanti lo cercano con cuore sincero» (Sal 144, 18).

Gesù si presenta come l’unico mediatore della nostra salvezza, in quanto è il Figlio Unigenito, il Figlio amato, il Figlio donato dal Padre al mondo perché l’umanità peccatrice sia salvata attraverso di Lui. Infatti, «Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui» (Gv 3,17). Gesù Cristo, dunque, nel mistero pasquale, di passione-morte-resurrezione, è costituito come unico Salvatore del mondo. Infatti, «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15,18)

È questo il grande annuncio, che ha risuona sin dal mattino di Pasqua nella Chiesa e che ne costituisce la sua perenne sorgente di vita, come si afferma nella prima lettura di oggi: «Pietro levatosi in piedi con gli altri undici, parlò a voce alta così: “Sappia con certezza tutta la casa di Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocefisso” … Allora coloro che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno si unirono a loro circa tremila persone». Ecco. È accaduto il miracolo della Misericordia di Dio, che continuerà ad accadere «di generazione in generazione» (Lc 1,50): la Chiesa diventa così la comunità di uomini e donne che entrano nella vera Vita, attraverso la Porta che è Gesù, fin d’ora, attraverso i Sacramenti, al cui vertice c’è l’Eucarestia, la fonte e l’apice, fons et culmen, di tutta la vita cristiana”, come ci insegna il Concilio Vaticano II (Lumen Gentium, 2)

2.

Il secondo significato fondamentale dell’attribuzione che Gesù fa a se stesso dell’immagine della «porta» riguarda anche ciascuno di noi.

Non c’è una strada che ci porti alla Vera vita all’infuori della persona di Gesù, Verbo incarnato & Crocifisso-Risorto.

Aderendo a Cristo che possiede la Vita eterna, l’uomo riceve egli stesso la Vita eterna. Infatti, la Vita, quella vera, si trova in Gesù: «In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini» (Gv 1,4). Gesù è la fonte della Vita come il Padre: «Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso al Figlio di avere la vita in se stesso» (Gv 5,26). Gesù è la Risurrezione e la Vita: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi tu questo?» (Gv 11,25-26:). Gesù, infatti, è venuto nel mondo, «perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 1,10). Perciò, chiunque «Entrerà, uscirà e troverà pascolo». Non lo cantiamo forse nel salmo 22 con queste parole? «Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce. Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino, per amore del suo nome. Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza. Davanti a me tu prepari una mensa sotto gli occhi dei miei nemici; cospargi di olio il mio capo. Il mio calice trabocca. Felicità e grazia mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita, e abiterò nella casa del Signore per lunghissimi anni».

3.

Infine, un monito che ci deve mettere in guardia dalle tante voci che si levano contro di noi: «Chi non entra nel recinto delle pecore per la porta, ma vi sale da un’altra parte, è un ladro e un brigante. Chi invece vi entra per la porta, è il pastore delle pecore» (Gv 10,1-2)

In questa affermazione viene espressa la regola fondamentale per discernere dal «buon pastore», il «ladro e brigante». Il principio lo indica Gesù in queste parole: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore. Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde; egli è un mercenario e non gli importa delle pecore» (Gv 10,11-13).

Notiamo – se non ci avessimo fatto caso – che vengono totalmente capovolti i rapporti umani.

Di solito, infatti, le pecore sono sfruttate a beneficio del pastore che le cura per un fine commerciale. Qui si dice l’opposto. Chi esercita il potere di custodirle è chiamato a servirle e non a servirsene. Infatti, Gesù dona la sua vita al suo gregge. Fino ad un punto innaturale per un vero pastore. Come si dice nella notissima parabola: «Chi di voi se ha cento pecore e ne perde una, non lascia le novantanove nel deserto e va dietro a quella perduta, finché non la ritrova? Ritrovatala, se la mette in spalla tutto contento, va a casa, chiama gli amici e i vicini dicendo: Rallegratevi con me, perché ho trovato la mia pecora che era perduta. Così, vi dico, ci sarà più gioia in cielo per un peccatore convertito, che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione» (Lc 15,3-7). Ma quale pastore saggio lascia il gregge e si mette in cerca di una sola pecora, rischiando di perdere tutto? Qui, invece, è rivelato un volto inedito di Dio; il suo modo di amare colma la distanza fra il Dio fattosi uomo e l’uomo medesimo; colma la distanza fra la sua onnipotenza e la nostra fragilità; colma la distanza fra la sua sapienza e la nostra stoltezza.

È questo, dunque, il modo di amare di Dio: «il buon pastore offre la sua vita per le pecore». Non c’è nulla e nessuno che lo costringa a questo. È la libertà propria dell’amore, come Gesù stesso afferma in un altro passo evangelico: «Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre mio» (Gv 10,17-18).

Il donarsi di Gesù è dunque un atto d’amore supremamente e incondizionatamente libero per ogni uomo che, vivendo, è la gloria di Dio (Ireneo di Lione, Ad. Her., IV, 20,7).

Buona domenica a tutti!

Vi abbraccio e Vi benedico

Vostro padre Marco

Novara, 3 maggio 2020, domenica del Buon Pastore