Date a Cesare… e a Dio …: meditazione sul 2 giugno festa della Repubblica
Miei cari,
oggi 2 giugno la liturgia non ha particolari memorie da ricordare ma l’Italia ne ha una da celebrare. È la festa della Repubblica italiana, in ricordo del referendum che in questo stesso giorno, nel 1947, decretò il passaggio dell’Italia da un sistema politico monarchico a uno repubblicano, ponendo fine al Regno d’Italia e al Risorgimento e aprendo una nuova fase nella vita politica e civile del nostro Paese. Si votò, anche, a suffragio universale per la prima volta e per la prima volta anche le donne votarono.
Dunque, la preghiera oggi non può che andare a tutti noi italiani: a chi ci governa e a chi è governato, a chi ha dato la vita per garantire quella rinascita del dopo guerra e a chi ha speso le migliori energie, che hanno portato nel nostro Paese tanto bene e altrettanto benessere. Non sono mancate ne mancheranno certamente le ombre, ma esse sono naturali in ogni società umana, in cui nulla è perfetto. Ma in questi quasi 80 anni di repubblica noi, italiani, abbiamo saputo ogni volta rinascere dalle nostre ceneri, come l’animale mitologico chiamato fenice, e rivivere superando gli ostacoli e avanzando. Oggi un momento grave incombe sul nostro futuro, ci spaventa ma non certo estingue la fiamma e l’ardore che nei cuori dei più attenti e dei più accorti saprà risplendere di nuova luce che contagerà anche chi arranca.
Il vangelo di oggi calza a pennello per questa ricorrenza laica. È celebre il passo di Marco (12,13-17) che trova il suo centro nelle parole di Gesù «Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio».
Che cosa significhino queste parole lo lascio dire a tre uomini che servendo lo stato, hanno illuminato la nostra repubblica italiana con il loro esempio.
Aldo Moro, che vi ho già citato nella lettera alle famiglie per questa patronale scriveva in pieno secondo conflitto mondiale: «Ora dobbiamo percorrere una lunga e difficile strada; dobbiamo appunto ricostruire. Cominciamo di qui. Rimettiamoci tutti a fare con semplicità il nostro dovere, senza nulla perdere dei valori che in ogni opera fatta dagli uomini e per gli uomini si ritrovano.
Così possiamo servire veramente la Patria che soffre. Chi ha da studiare, studi. Chi ha da insegnare, insegni. Chi ha da lavorare, lavori. Chi ha da combattere, combatta. Chi ha da fare della politica attiva, la faccia e con la stessa semplicità di cuore con la quale si fa ogni lavoro quotidiano. Madri e padri attendano ad educare i loro figliuoli. E nessuno pretenda di fare più e meglio di questo. Perché questo è veramente amare la Patria e l’umanità».
E se calassero le ombre sulle e il cielo sembrasse velarsi di oscurità a fronte di eventi difficili ci soccorrano le parole di un altro grande italiano e servitore dello Stato, il giudice Falcone, che scriveva: «Che le cose siano così, non vuol dire che debbano andare così. Solo che quando si tratta di rimboccarsi le maniche ed incominciare a cambiare, vi è un prezzo da pagare. Ed è allora che la stragrande maggioranza preferisce lamentarsi piuttosto che fare».
Come Moro, prima di morire, ribadì a chiare lettere nell’ultimo discorso ai parlamentari: «Se fosse possibile dire: saltiamo questo tempo e andiamo a domani, credo che tutti accetteremmo di farlo. Ma non è possibile. Oggi dobbiamo vivere, oggi è la nostra responsabilità. Si tratta di essere coraggiosi e fiduciosi al tempo stesso. Si tratta di vivere il tempo che ci è dato vivere con tutte le sue difficoltà».
E se qualcuno avesse paura, ricordi quanto diceva il giudice Rosario Livatino, il terzo servitore dello Stato, anche lui ucciso, dando con queste parole un preciso programma ed indirizzo di vita: «Quando moriremo, nessuno ci verrà a chiedere quanto siamo stati credenti, ma credibili».
Non dimentichiamo quanta scia di bene, ma ricordando lavoriamo insieme per il bene comune e per il progresso dell’umanità
Auguri a tutti gli italiani!
Buona Festa!
Vi abbraccio e vi benedico.
Vostro padre Marco