Venite a me, voi tutti, che siete oppressi! Omelia per la 14ma domenica del tempo ordinario

Del vangelo di oggi vorrei richiamare la seconda parte, che comincia con le parole «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro» (Mt 11,28).
1.     I destinatari dell’invito: tutti coloro che sono affaticati e oppressi
Anzitutto consideriamo i destinatari a cui è rivolto questo invito: tutti ma proprio tutti non sono esclusi da questo invito ad andare da Cristo Gesù, il Dio-Uomo.
Chi infatti di noi non è stato provato dalla fatica del vivere? Chi di noi non si dovuto misurare con accadimenti che superano ogni umana comprensione? Chi noi non è stato colpito da qualche avversità, che improvvisamente ha fatto capolino nella sua esistenza? Chi di noi non è stato risparmiato dalla pandemia che non è per nulla superata e grava ancora come una spada di Damocle sul nostro futuro? Chi di noi di fronte a questo male endemico non ha timore essere colpito e non fa più progetti, vivendo alla giornata? Ma chi pure di noi, di fronte alla pandemia, cerca l’oblio, vivendo come se nulla fosse successo, sino a stordirsi e a non pensare?
Ebbene, il Dio-Uomo, Cristo Gesù sa quanto la vita possa essere pesante e conosce le molte cose che affaticano il cuore: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro» (Mt 11,28).

2.     Il movimento fondamentale dell’anima oppressa: Venite (fuori da vostri gusci)
Di fronte a tutto questo, la seconda parola di Gesù è un invito a muoversi: «Venite». È un imperativo! Meglio. Un’esortazione a reagire!
Lo sbaglio vero – ci dice il Dio-Uomo, Cristo Gesù -, è restare dove si è, quando le cose vanno male. È sempre così, infatti: quanto è difficile reagire e aprirsi! Nei momenti bui viene naturale stare con sé stessi, rimuginare su quanto è ingiusta la vita, su quanto sono ingrati gli altri com’è cattivo il mondo e così via. Ci chiudiamo in un guscio impenetrabili, per noi e per gli altri, in un silenzio assordante, che sfianca anche i più forti! Tutti lo sappiamo e tutti ne abbiamo fatto e ne facciamo l’esperienza.
Ma così facendo, vediamo tutto nero. Allora si arriva persino a familiarizzare con la tristezza, che diventa di casa: quella tristezza che ci prostra non solo psicologicamente ma anche spiritualmente.
La prima la chiamiamo depressione; la seconda la definiamo accidia; la prima riguarda la psiche; la seconda riguarda l’anima; spesso la prima si origina dalla seconda; ed entrambe vanne curate.
Il nostro tempo parla chiaro: quanto malessere e mal di vivere trova origine in uno stato di prostrazione dell’anima più che della psiche. Domina il non-senso, a cui la società occidentale di oggi ci ha abituati, piena come è di risposte ai bisogni, ma senza rimedi per i grandi desideri, che percorrono, al contrario, l’anima dell’uomo. Con una conseguenza, che tutti abbiamo toccato con mano. Il bisogno, limitato e superficiale quale è, se soddisfatto immediatamente quando reclama il suo diritto, non si risolve. Anzi! Aumenta di intensità e si rigenera con altrettanti bisogni tentacolari, che avviluppano tutta quanta la persona. E così, quanti naufragi avvengono! Quanti stordimenti! Quanta disperazione! Quanta sete di vita viene attutita ma mai risolta con una risposta decisiva e definitiva.
Questa situazione è sotto gli occhi di tutti!«Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro» (Mt 11,28).

3.     La meta sicura a cui far riferimento: Gesù e tutti coloro che manifestano la Sua presenza
Il Dio-Uomo, Cristo Gesù, invece, vuole tirarci fuori da queste “sabbie mobili” e perciò dice a ciascuno: “Vieni!”, indicando una via d’uscita privilegiata nella relazione solida, nel tendere la mano con sicurezza e nell’alzare lo sguardo verso chi ci ama davvero.
Perché, come ho detto prima, uscire da sé soli non basta: lo provano i fatti. È necessario, invece, sapere dove andare, perché tante mete sono illusorie: promettono ristoro e distraggono solo un poco, assicurano pace e danno divertimento, lasciando poi nella solitudine di prima. Sono semplici “fuochi d’artificio”, dei quali rimane l’odore di zolfo …
Per questo Gesù indica la meta di questo viaggio: «Venite a me».
Questo “me” passa, naturalmente, attraverso tante persone, amici veri, che ti aiutano a portare il tuo peso. È un gran bene fare questo, ma non dimentichiamo che chi garantisce in modo assoluto la sicurezza della tenuta e il Dio-Uomo, Cristo Gesù.
Non dimentichiamo di aprirci a Lui e di raccontargli la vita, di affidargli le persone e le situazioni. Forse ci sono delle “zone” della nostra vita che mai abbiamo aperto a Lui e che sono rimaste oscure, perché non hanno mai visto la luce del Signore. Ognuno di noi ha la propria storia. E se qualcuno ha questa zona oscura, cerchi Gesù, vada da Gesù e racconti questo a Gesù. Oggi, Egli dice a ciascuno: “Coraggio, non arrenderti ai pesi della vita, non chiuderti di fronte alle paure e ai peccati, ma vieni a me!”.«Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro» (Mt 11,28).

4.     Il giogo che diventa leggero: l’Amore di Dio
Egli ci aspetta, ci aspetta sempre, non per risolverci magicamente i problemi, ma per renderci forti nei nostri problemi. Gesù non ci leva i pesi dalla vita, ma l’angoscia dal cuore; non ci toglie la croce, ma la porta con noi. E con Lui ogni peso diventa leggero (cfr v. 30), perché Lui è il ristoro che cerchiamo.

Quando nella vita entra Gesù, arriva la pace, quella che rimane anche nelle prove, nelle sofferenze.

Andiamo a Gesù, diamogli il nostro tempo, incontriamolo ogni giorno nella preghiera, in un dialogo fiducioso, personale; familiarizziamo con la sua Parola, riscopriamo senza paura il suo perdono, sfamiamoci del suo Pane di vita: ci sentiremo amati, ci sentiremo consolati da Lui.
È Lui stesso che ce lo chiede, quasi insistendo e ripetendolo alla fine del Vangelo di oggi: «Imparate da me […] e troverete ristoro per la vostra vita» (v. 29).