Perseveranti nella fede, insistenti nella preghiera. Omelia per la 20ma domenica del tempo ordinario

Miei cari,
continuiamo anche questa domenica il percorso sulla fede. Domenica scorsa ho ripreso la pastorale di mons. Brambilla “Come stati con la tua fede?” per indicarne i principali passaggi per la riscoperta di questo dono, datoci col Battesimo. In questa domenica a guidarci è, invece, una Donna cananea che con insistenza chiede a Gesù la guarigione della figlia posseduta o vessata da un demonio. È un brano evangelico notissimo (Mt 15,21-28) e in un certo senso un passo  che inizialmente ci turba per l’atteggiamento di Gesù nei confronti di questa donna disperata. Il nostro Maestro sembra prima distaccato, poi, per certi versi insensibile e infastidito, infine, quasi maleducato al punto tale da paragonare la donna cananea a un cagnolino importuno ed insistente. Ma, nel finale, il passo evangelico diventa sorprendente ed esplosivo, poiché Gesù, quasi inaspettatamente, prorompe in un elogio che risuonerà in ogni parte della terra, giungendo sino a noi: «Donna grande è la tua fede!» (v. 28). Proprio in queste ultime parole si spiega la ritrosia iniziale di Gesù, per poi concludersi in un’attenzione particolarissima, che spiega le parti iniziali del brano.
Proviamo allora a scorgere qualche tratto utile per noi, per la nostra fede, per la nostra supplica.

1.     Una Donna, senza nome, idolatra, straniera e disperata
La scena si svolge mentre Gesù è in cammino verso le città di Tiro e Sidone, a nord-ovest della Galilea: è qui che la Donna implora Gesù di guarire sua figlia la quale – dice il Vangelo – «è molto tormentata da un demonio» (v. 22).
Notiamo alcuni particolari: questa Donna non ha nome, è straniera, è idolatra perché non è credente nel Dio di Abramo, è disgraziata per il male della figlia.
Non ha nome ed è straniera. Rappresenta, come già i Padri della Chiesa insegnavano, la Chiesa delle Genti, cioè  tutti quei popoli che, arsi dal desiderio di Assoluto, anelano alla Salvezza che Dio può donare gratuitamente.
È idolatra, poiché cananea e perciò venera degli idoli e non il Dio di Abramo. Come dicevamo domenica scorsa, il contrario della fede non è l’incredulità, ma l’idolatria. Essa ci fa sacrificare incenso a tutto ciò che non è Dio; l’idolatria, infatti, soffoca il nostro desiderio di Assoluto, perciò offriamo “incenso” non a Dio, che dona la vita, ma agli idoli che, al contrario prosciugano la vita; questi idoli  non assecondano il desiderio infinito di bontà, di verità e di bellezza, ma, al contrario, moltiplicano solo i bisogni che non portano a compimento il nostro desiderio di Assoluto, ma poiché “bisogni”, essi si elevano all’ennesima potenza e a dismisura senza mai saziare l’arsura, che pervade il nostro cuore.
Questa Donna è, infine, disgraziata e disperata: non per se stessa, ma per ciò che ha di più caro, la figlia, frutto del suo grembo, che giace nell’ombra di morte, essendo posseduta da un male che le altera la vita, al punto tale da trasformarla in non-vita.

2.     Una Donna Maestra di Fede e di Preghiera
Il Signore, in un primo momento, sembra non ascoltare questo grido di dolore, tanto da suscitare l’intervento dei discepoli che intercedono per la Donna. L’apparente distacco di Gesù non scoraggia questa madre, che insiste nella sua invocazione. La forza interiore di questa Donna, che permette di superare ogni ostacolo, va ricercata nel suo amore materno e nella fiducia che Gesù può esaudire la sua richiesta. Infatti, a partire dal bisogno della figlia questa Donna giunge ad una professione di fede, che non ha pari, fino a quel momento, in tutto l’Israele di Dio. Ella, infatti, invoca Gesù con parole precise che tradiscono nella Donna qualcosa di più di una semplice supplica ma una vera e propria preghiera mossa dalla fede. Invoca, infatti, così: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide!» (v. 22). Nel proclamarlo “Signore”, la Donna ne considera la divinità; mentre nell’invocarlo come “Figlio di David” ne considera l’incarnazione. Ecco: la sua supplica, dunque, diventa una professione di fede, che nemmeno «le pecore perdute di Israele» (v. 24), per le quali Gesù è giunto, non hanno ancora professato in Gesù di Nazareth. La Donna, dunque, non considera Gesù come un semplice guaritore o mago, ma come Messia, figlio di Dio, figlio dell’uomo e salvatore! Il Mediatore tra Dio e gli uomini! La singolarità sta pure nel fatto che questa prima professione di fede avvenga non in Israele ma in un territorio pagano, segnato dall’idolatria! Possiamo aggiungere un altro particolare: è l’amore materno di questa Donna che muove la sua fede e la sua fede, da parte sua, diventa il premio dell’amore. L’amore struggente verso la propria figlia la induce «a gridare: Pietà di me, Signore, figlio di Davide!» (v. 22). E la fede perseverante in Gesù, il Messia, le consente di non scoraggiarsi neanche di fronte al suo iniziale rifiuto; così la donna «si prostrò davanti a lui dicendo: Signore, aiutami!» (v. 25).

3.     I “figli” diventano “cani” mentre i “cani” diventano “figli”
Eppure Gesù continua con la sua ritrosia, addirittura dileggiando questa donna al limite della maleducazione: «Ed egli rispose: Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini. È vero, Signore – disse la donna –, eppure i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni» (vv. 26-27). Ella non è figlia e non è degna di questo nome! I figli sono per ora coloro che appartengono al Popolo di Israele, all’Elezione, poiché hanno ricevuto l’alleanza e le promesse messianiche. Per loro Dio si è, anzitutto. incarnato, come sottolinea l’evangelista: «Non sono stato mandato se non alle pecore perdute della casa d’Israele» (v. 24). Eppure questi figli, «queste pecore perdute della Casa di Israele» (v. 24), non riconoscono il loro Padre; mentre i cani riconoscono il loro padrone dalle «briciole che cadono dalla tavola» (v. 27). Cosicché, ironia della sorte, i “figli” diventano “cani” e i “cani” diventano “figli”! La Donna diventa “figlia” perché ribadisce ciò che invece i figli non dicono: «Pietà di me, Signore, figlio di Davide!» (v. 22). Ella, invece, «si prostrò davanti a lui dicendo: Signore, aiutami!» (v. 25). La donna adora il Messia e Dio, i figli, al contrario lo disdegnano!
Ecco la ragione della ritrosia di Gesù nel concedere quanto quella Donna chiede! La sapienza del Maestro Divino vuol così mostrare quella perla preziosa per cui si vende tutto (cfr. Mt 13,45-46); quel tesoro del campo per il quel si abbandonano tutte le proprietà per acquistare quel campo in cui esso è contenuto (cfr. Mt 13,44). Sono le parabole del Regno che abbiamo commentato nelle scorse domeniche.
Gesù mostra ai suoi discepoli e al popolo di Israele quale grandezza emerga da questa donna, da questa straniera, da questa idolatra, da questa disperata!
Gesù evidenza inoltre come con la perseveranza nella preghiera si venga esauditi, senza timore di essere insistenti e inopportuni.
Gesù saggia il cuore della donna e nel mentre il nostro per farci comprendere che non c’è nulla che ostacoli ogni nostro bisogno. Per questo indugia nel concederle quanto chiede, non per vessarla, ma per insegnare a noi tutti ad insistere presso di lui, poiché come è scritto: «Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chi chiede ottiene, chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto». (Lc 11,9-10) Infatti, alla fine, davanti a tanta perseveranza, Gesù rimane ammirato, quasi stupito, dalla fede di una donna pagana. Pertanto, acconsente e prorompe in un elogio che perdura e risuona ancora nelle nostre orecchie: «Donna, grande è la tua fede! Avvenga per te come desideri. E da quell’istante sua figlia fu guarita» (v. 28).
Questa umile donna viene indicata da Gesù come esempio di fede incrollabile. La sua insistenza nell’invocare l’intervento di Cristo è per noi stimolo a non scoraggiarci, a non disperare quando siamo oppressi dalle dure prove della vita. Il Signore non si volta dall’altra parte davanti alle nostre necessità e, se a volte sembra insensibile alle richieste di aiuto, è per mettere alla prova e irrobustire la nostra fede. Noi dobbiamo continuare a gridare come questa donna: “Signore, aiutami! Signore, aiutami!”. Così, con perseveranza e coraggio. E questo è il coraggio che ci vuole nella preghiera.

4.     Perseveranti nella fede, insistenti nella preghiera
Questo episodio evangelico ci aiuta così a capire che tutti abbiamo bisogno di crescere nella fede e fortificare la nostra fiducia in Gesù. Egli può aiutarci a ritrovare la via, quando abbiamo smarrito la bussola del nostro cammino; quando la strada non appare più pianeggiante ma aspra e ardua; quando è faticoso essere fedeli ai nostri impegni. È importante alimentare ogni giorno la nostra fede, con l’ascolto attento della Parola di Dio, con la celebrazione dei Sacramenti, con la preghiera personale come “grido” verso di Lui – “Signore, aiutami!” -, e con atteggiamenti concreti di carità verso il prossimo.
Affidiamoci allo Spirito Santo affinché Lui ci aiuti a perseverare nella fede. Lo Spirito infonde audacia nel cuore dei credenti; dà alla nostra vita e alla nostra testimonianza cristiana la forza del convincimento e della persuasione; ci incoraggia a vincere l’incredulità verso Dio e l’indifferenza verso i fratelli.
La Vergine Maria, donna anch’essa, ci renda sempre più consapevoli del nostro bisogno del Signore e del suo Spirito; ci ottenga una fede forte, piena d’amore, e un amore che sa farsi supplica, supplica coraggiosa a Dio.
Buona domenica!
Padre Marco