Guadagnare un fratello e una sorella, non denigrali. Omelia per la 23ma domenica del tempo ordinario

Miei cari,
il vangelo di questa 23ma domenica del tempo ordinario è piuttosto esigente e facile al fraintendimento. Infatti, il passo odierno (Mt 18,15-20), che fa parte di uno dei discorsi che connotano l’evangelo di Matteo (in questo caso quello definito “discorso ecclesiale”), ha come tema i rapporti dei singoli credenti all’interno della comunità cristiana. Presentando il tema della correzione fraterna, mostra come ciascun credente debba correggere un altro cristiano quando fa una cosa non buona e piuttosto grave.
1.     Il caso della correzione fraterna
La situazione descritta dall’evangelista Matteo è abbastanza semplice e lineare. Gesù ci insegna che se il fratello commette una colpa contro qualcuno, il credente devo usare carità verso di lui e, prima di tutto, parlargli personalmente, spiegandogli che ciò che ha detto o ha fatto non è buono. Se il fratello non lo ascolta, Gesù suggerisce tre ulteriori interventi. La prima azione consiste nel ritornare a parlargli con altre due o tre persone, perché sia più consapevole dello sbaglio che ha fatto. Il secondo gesto prevede che, qualora il fratello non accogliesse l’esortazione, si debba dirlo alla comunità.Il terzo atteggiamento è ancora più drastico: se il fratello non ascoltasse neppure la comunità, sarà necessario fargli percepire la frattura e il distacco che lui stesso ha provocato, facendo venir meno la comunione con i fratelli nella fede. Le tappe di questo itinerario indicano lo sforzo che il Signore chiede alla comunità dei credenti per accompagnare chi sbaglia, affinché non si perda. Così potrebbe essere letto il brano, nella sua squisita linearità.
Tuttavia, c’è un “ma”, che opera un discrimine assoluto ed è costituito da due elementi che non balzano all’occhio in prima battuta. Il primo è costituito dalla parola usata per indicare chi sbaglia: «fratello», quindi uno della famiglia, non un estraneo; il secondo dalle parole finali dell’itinerario di correzione: «se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano». Perché questi due elementi, all’apparenza incidentali, diventano il distinguo fondamentale per non leggere questa istruzione di Gesù in chiave punitiva o coercitiva, immaginando addirittura di trovarvi le regole della scomunica? Facciamo un passo indietro, per poter comprendere bene la pagina odierna, domandandoci quale sia il fine della correzione fraterna

2.     Il fine della correzione fraterna: guadagnare un fratello
Gesù dichiara, anzitutto, che questo discorso ha un fine preciso: «se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello». Traducendolo: “fate in modo di non perdere nessuno che porti su di sé il nome cristiano sia egli colui che corregge chi ha sbagliato sia egli chi ha commesso l’errore”. Ad essere in gioco dunque non è la verità fine a se stessa, quasi algida, fredda o scevra da ogni amorevolezza e paternità, ma piuttosto la persona che si ha di fronte, che è tuo/nostro fratello in virtù dell’unico Padre comune che abita nei cieli, al quale spetta unicamente il giudizio finale (cfr. Lc 6,36-38). A riprova di ciò sta il fine per cui Gesù è venuto in questo mondo: «non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo» (Gv 12,47). Infatti, «il Figlio dell’uomo è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto» (Lc 19,10); come pure: «se un uomo ha cento pecore e una di loro si smarrisce, non lascerà le novantanove sui monti e andrà a cercare quella che è smarrita? Se riesce di trovarla in verità io vi dico: si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite. Così è la volontà del Padre vostro che è nei cieli, che neanche uno di questi piccoli si smarrisca» (Mt 18,12-14). Di più. Egli è stato consacrato «con l’unzione» per «portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore» (Lc 4,18-19) per l’intera umanità, per donare alla fine la vita perché nessuno di quelli che gli sono stati affidati andasse perduto. Nessuno!
Ogni discepolo, che voglia seguire questo Maestro, è chiamato a fare altrettanto: il compito e la missione è questa e non altra, non perdere nessuna persona che sia fratello e sorella tanto nell’umanità quanto nella fede. Questo è, dunque, il fine del discorso che Gesù fa ai Suoi discepoli. Non è affatto in gioco una verità di fede, ma è a rischio la vita di una persona: vita, non mortale, ma vita eterna. Cosicché, il passo evangelo odierno non contiene gli elementi per scomunicare o cacciare dalla comunione un fratello. Sarà san Paolo a precisare in alcune sue lettere tutto ciò per cui un cristiano abbia abbandonato la retta fede. Passaggi tutti quelli paolini, nei quali però, la dichiarazione di non essere più in comunione con la Chiesa, non andrà mai interpretata con valore punitivo, ma piuttosto come elemento medicinale, affinché chi ha smarrito la retta via possa essere ricondotto sulla strada della verità. Così se questo è il fine con cui leggere questo passo, i passaggi di riconquista del fratello sono chiaramente di un’estrema cura e delicatezza.

3.     Il metodo: la correzione non il pettegolezzo
Il metodo di Gesù è un crescendo di amorevolezza: “spenditi prima tu – dice a ciascuno di noi -; poi, fatti aiutare da qualcuno con più esperienza; infine, usa tutta la forza d’amore della comunità perché la persona che ha commesso qualche mancanza non persista in questo stato di dis-grazia, ma ritorni alla grazia di Dio”. Non dice, dunque, “sparla del fratello, fatti giustizia da solo, se ti senti offeso da lui. Nemmeno usa come tua arma il pettegolezzo né con una né con due né con tre presone e nemmeno con la tua comunità”. È quest’ultima la situazione più deprecabile non solo perché non sortirà mai alcun effetto, se non quello di acuire il male a colui che ha fatto del male, ripagandolo con la stessa misura, e accrescerà le distanze tra tutti, creando un clima tremendo di non fiducia, laddove, invece, questa dovrebbe essere la prima delle regole di una comunità cristiana. Purtroppo, il più delle volte, questo accade e fra cristiani o professanti tale nome si cede ad un giustizialismo vendicativo che non guarisce le ferite ma le amplifica sino a farle incancrenire. Con l’unico risultato che nessuno otterrà mai ciò di cui ha più bisogno: la pace interiore.
Infine, se però quel fratello o quella sorella persiste in quella situazione di grave mancanza, che cosa si deve fare?

4.     L’amore sino al dono della vita
Gesù indica chiaramente il rimedio per questa situazione che sembra irreversibile umanamente nelle parole finali del discorso: «se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano». Che cosa significano queste parole? Sono forse un invito di Gesù all’odio per persone, che erano notoriamente le prime, ladri protetti dalla legge e asserviti al potere romano, le seconde, idolatri e diversamente viventi dalle indicazioni del Dio di Israele? No. Domandiamoci: Gesù a chi è stato inviato? «Alle pecore perdute della Casa di Israele» (Mt 15,24) e a tutti coloro «che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte» (Lc 1,79). Per tutti è disceso dal cielo, per tutti si è fatto uomo, per tutto si è immolato sulla croce, per tutti è risorto! Per tutti! Anche se «noi lo ritenevamo colpito, percosso da Dio e umiliato» (Is 54,4); per coloro che si credevano giusti e per coloro che erano ritenuti peccatori, per gli amici e per i nemici. Per tutti senza alcuna distinzione. Ebbene costoro, i pubblicani e i pagani, di cui si dice in questo passo evangelico di oggi, non sono forse tra quelli a cui è stato inviato il Cristo, coloro che hanno più bisogno del medico? Che fa Gesù per costoro? Va da loro, accetta i loro inviti, si siede a mensa, assolve i loro peccati, … A noi chiede lo stesso.
«Se non ascolterà neanche la comunità, sia per te come il pagano e il pubblicano»: quest’ammonimento finale ci ricorda che se non riusciremo a guadagnare uno di questi fratelli, a cambiarne la vita, non dovremo far altro che pregare per lui, amandolo, poiché il Vangelo è chiaro: «Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente; ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra; e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello. E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due. Da’ a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle. Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico; ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti» (Mt 5,38-45

Per tutto questo, all’inizio della Messa, ogni volta siamo invitati a riconoscere davanti al Signore di essere peccatori, esprimendo con le parole e con i gesti il sincero pentimento del cuore. È lo Spirito Santo che parla al nostro spirito e ci fa riconoscere le nostre colpe alla luce della parola di Gesù. Ed è lo stesso Gesù che ci invita tutti, santi e peccatori, alla sua mensa raccogliendoci dai crocicchi delle strade, dalle diverse situazioni della vita (cfr Mt 22,9-10). E tra le condizioni che accomunano i partecipanti alla celebrazione eucaristica, due sono fondamentali, due condizioni per andare bene a Messa: tutti siamo peccatori e a tutti Dio dona la sua misericordia. Sono due condizioni che spalancano la porta per entrare a Messa bene. Dobbiamo sempre ricordare questo prima di andare dal fratello per la correzione fraterna.
Buona domenica!
Padre Marco