Dio ti ama e ti chiama per nome. Omelia per la seconda domenica del tempo ordinario
Miei cari,
vorrei continuare, come ho già fatto la scorsa settimana con voi, la riflessione sul dono che abbiamo ricevuto mediante il battesimo. Infatti, i brani evangelici di questa e di domenica prossima ci permettono di approfondire altri particolari a questo riguardo.
Oggi l’evangelista Giovanni (Gv 1,35-42) ci restituisce due dialoghi tra Gesù e i suoi primi discepoli, che incontra incominciando la predicazione del suo Regno. Ma nel secondo di questi colloqui, in particolare, indica esplicitamente non solo di sapere chi gli viene presentato ma anche di indicarne fin da subito la missione futura che compirà nella Chiesa. Scrive l’evangelista: «Fissando lo sguardo su di lui, Gesù disse: Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai chiamato Cefa – che significa Pietro» (Gv 1,42). Due sono i rilievi. Il primo è costituito dalla conoscenza profonda della storia del primo fra gli apostoli. Il secondo dalla trasformazione della sua vita a partire dalla consegna di un nome nuovo con cui da ora in poi sarà conosciuto. Tralascio quest’ultimo particolare – ci rifletteremo domenica prossima – e mi concentro sul primo, mettendolo a confronto con quanto avviene nel Battesimo e anche quando si inizia il gruppo del catechismo.
Nel nome di Pietro, la sua storia con quella di Dio
Di tutti gli evangelisti, ma ancor di più per Giovanni, deve valere l’attenzione su ogni particolare, che non è posto a caso, ma cela dietro di se un universo di significati. Come in questo frangente ogni espressione usata manifesta una grande cura dell’autore. Ne sottolineo tre.
La prima: «Fissando lo sguardo su di lui» (Gv 1,42). Gesù non fa delle domande a Pietro ma, appena arriva, lo riconosce, quasi lo aspettasse. Il suo sguardo è potente e penetrante, ma non è indiscreto o sfacciato, perché è lo sguardo amorevole di Dio. Mediante questo gesto rivolto a Simone, Gesù dapprima attende, quindi conosce, poi ama. Questo avviene anche per ogni uomo: con lo sguardo si può decidere di amare o di odiare, di perdonare o di vendicarsi, di aver compassione o rancore, di vedere oltre o di non guardare più da quella parte. Nel vangelo di oggi, è fissando lo sguardo che Gesù, il maestro, ama Simone: lo guarda dentro, lo sceglie, lo ridefinisce, lo fa rinascere come Pietro. Così avviene anche per ciascuno di noi: quando siamo da sempre fissati da Dio e, mediante questo sguardo d’amore, siamo consapevoli che Egli ci concede di essere ciò che siamo, figli, immersi in lui, perché quelli sui quali lui ha fissato lo sguardo d’amore dall’eternità e per l’eternità.
La seconda nota riguarda l’espressione che segue: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni» (Gv 1,42). L’identificazione di Pietro mediante il suo nome proprio e quello di suo padre non è una mera nota aggiuntiva dell’evangelista e di passaggio: costituisce, invece, un beneplacito del Maestro a quello che Pietro è. Dietro a quei due nomi, si possono celare virtù o vizi, luci o ombre, pregi o difetti, qualità o carenze. Gesù ha una piena conoscenza di ciò che siamo noi, della nostra storia di vita e della nostra famiglia di origine. Gesù prende tutto questo e lo fa suo; lo accetta e non lo ricusa. Non ha paura di tutto questo. Prende ciascuno di noi con la sua storia e da essa parte per fra germogliare il seme del Regno di Dio, perché porti frutto, «ora il cento, ora il sessanta, ora il trenta» (Mt 13,23)
Infine, la terza espressione, che indica il percorso di vita questo discepolo: «sarai chiamato Cefa – che significa Pietro» (Gv 1,42) e che specifica la missione con la quale servirà la Chiesa diventandone, dopo la resurrezione di Gesù, la roccia contro la quale nulla potranno né le tenebre né le potenze infernali. Ma su quest’ultimo passo, ci torneremo domenica prossima.
Quale significato ha tutto questo nel battesimo e dove se ne trova traccia?
Nel nostro nome di battesimo, la nostra storia con quella di Dio
È significativo che il Rito del Battesimo abbia come prima domanda quella che riguarda il nome e che questo aspetto connoti anche l’espressione usale del nome proprio come nome di battesimo e non altro. Ma anche il nuovo catechismo dei bambini Io sono con voi inizia con il ricordo del nome. Nel nome è infatti racchiuso tutto: non solo ciò che riguarda la nostra persona, ma anche quella di chi ci ha messo al mondo: i nostri genitori e Dio stesso. Nessuno è, infatti, un numero o uno tra tanti: quando gli uomini si sono codificati come numeri nella storia sono accaduti gli episodi più efferati e bestiali. Valga per tutti il dramma della Shoah: nei campi di sterminio le persone non erano più tali, ma numeri tatuati sul braccio. La Scrittura stessa ci indica questo orrore nel libro dell’Apocalisse, nella quale il veggente scrive: «Essa fa sì che tutti, piccoli e grandi, ricchi e poveri, liberi e schiavi, ricevano un marchio sulla mano destra o sulla fronte, e che nessuno possa comprare o vendere senza avere tale marchio, cioè il nome della bestia o il numero del suo nome. Qui sta la sapienza. Chi ha intelligenza calcoli il numero della bestia: è infatti un numero di uomo, e il suo numero è seicentosessantasei» (Ap 13,16-18). Al di là del significato prossimo del numero 666, l’immagine è cruda e significa semplicemente che l’uomo, quando segue il Diavolo, viene ridotto a cosa e oscura l’immagine di Dio, che reca in se stesso. Per questo ogni essere vivente creato da Dio, spirituale o corporeo che sia, porta il proprio nome, poiché il nome non esprime una convenzione ma la vocazione alla vita e all’amore di ogni essere creato.
Dio stesso non si esime da questo: sull’Horeb, nel roveto ardente, ha rivelato a Mosè il proprio nome: «Dio disse a Mosè: Io sono colui che sono!. E aggiunse: Così dirai agli Israeliti: Io-Sono mi ha mandato a voi. Dio disse ancora a Mosè: Dirai agli Israeliti: Il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe, mi ha mandato a voi. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui sarò ricordato di generazione in generazione» (Es 3,14-15). Quel nome significava che Dio è presente in mezzo al suo popolo. Egli è YHWH, cioè Colui che è presente ed vive accanto ad ogni sua creatura. Questo è il vero e solo nome di Dio: nome amato, lodato e santificato; e con questo nome Dio è invocato.
Anche Gesù, incarnazione di Dio e compimento delle promesse, è qualificato col duplice nome: quello di Gesù, suo nome umano, e Santo, il nome divino di Figlio di Dio. Questi nomi furono pronunciati al futuro, prima cioè che la Vergine Maria desse l’assenso e concepisse nel suo grembo il Verbo fatto carne: «Ed ecco, concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e verrà chiamato Figlio dell’Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine» (cfr. Lc 1,31-33).
Il Vangelo ci insegna che il Buon Pastore conosce per nome ciascuna delle sue pecore: «Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori» (Gv 10,3) e i nomi degli eletti sono scritti nel cielo: «Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto perché i vostri nomi sono scritti nei cieli» (Lc 10,20).
Dio ha risuscitato Gesù dai dai morti e, nel confessare il Suo nome, noi credenti diciamo che Gesù è il Signore e nell’invocarlo abbiamo la salvezza: «Poiché non c’è distinzione fra Giudeo e Greco, dato che lui stesso è il Signore di tutti, ricco verso tutti quelli che lo invocano. Infatti: Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato» (Rm 10,12-13).
I primi cristiani si radunavano nel nome di Gesù, memori delle sue parole: «dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20) e la predicazione apostolica aveva come oggetto di far conoscere il nome di Gesù Cristo: «E avverrà: chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato» (At 2,21).
Nel rito d’inizio del battesimo, dunque, la domanda del nome da parte del celebrante ai genitori, oltre ad avere uno scopo pratico, ha, dunque, quello di valorizzare la dignità della persona. Il nome assume un significato religioso per il legame che viene a determinarsi tra il battezzato e Dio. Il battesimo, infatti, non è un episodio qualsiasi della vita, ma una nuova nascita che dona l’inizio a una nuova esistenza; il battezzato, infatti, sarà sempre chiamato con quel nome. Al prossimo da amare, Gesù non propone mai il titolo, il ruolo o la posizione sociale-ecclesiale, ma il nome e il volto del fratello in umanità e fede. Così, nell’amministrazione dei sacramenti, la Chiesa continuerà a chiamarci con il nome del battesimo, e il Signore Gesù, quando verrà alla fine dei tempi, chiamerà ciascuno per nome e userà un solo titolo in positivo o in negativo: Venite, benedetti, se degni di salvezza, Via, lontano da me, maledetti, se cacciati e dannati. Chi entra nella gloria riceverà la manna nascosta, nutrimento del regno dei cieli; una pietruzza bianca, segno dell’ammissione nel Regno e un nome nuovo, quel nome ineffabile che esprime il rinnovamento interiore che rende degni di portarlo (cfr. Ap 2,17).
Mi fermo qui. Domenica prossima vedremo un secondo aspetto, quello della nostra vocazione a partire dal nome ricevuto.
Buona Domenica
Padre Marco