Lumen Gentium Christus, Cristo è la luce dei popoli. Omelia per la quinta domenica ordinaria
Miei cari,
il brano evangelico odierno (Mc 1,29-39) all’apparenza sembra essere il racconto di una giornata comune del ministero di Gesù, sommando in se molti fatti, apparentemente sconnessi tra loro e senza un punto centrale da cui partire.
Ad una lettura più approfondita, al contrario, questo passo di Marco offre due fuochi che ruotano attorno ad un unico perno, che ne costituisce il significato profondo. I due fuochi li potremmo chiamare così: “una Chiesa guarita” e “una Chiesa che guarisce”; il perno fondamentale lo potremmo definire, invece, “una Chiesa contro ogni autoreferenzialità”.
Proviamo a spiegarli, raccontandoli.
“Una Chiesa guarita”
Questo passo evangelico è la continuazione di quello che abbiamo proclamato la scorsa domenica (Mc 1,21-28).
La scena si svolge ancora a Cafarnao. Gesù è appena uscito dalla sinagoga, nella quale ha dato la misura della sua predicazione con un’autorità che non gli proviene dagli uomini ma dal suo essere Dio, dandone la prova con un miracolo di liberazione dal male (Mc 1,22).
Ora entra in una casa, quella dell’apostolo Pietro. Non una abitazione qualunque, ma quella di colui che è la Pietra sulla quale Cristo fonda la sua Chiesa. È, dunque, la prima immagine che abbiamo della Chiesa, costituita al suo sorgere da una comunità domestica, una famiglia, segno di quello che dovrà essere in ogni tempo e che potremmo definire “famiglia di famiglie”, il modo in cui essa si irradia nel mondo. Senza questo fondamento – Pietro – e senza questa impostazione – “famiglie di famiglie” – la Religione cristiana correrebbe il rischio di essere semplicemente una scuola e una filosofia di vita, una modalità tra le tante che si incontrano nella storia. In questa casa-chiesa Gesù compie un miracolo, la liberazione da un male fisico grave, la febbre che poteva condurre alla morte, in assenza allora di antibiotici o antipiretici (Mc 1,31). Dunque, un miracolo grande, una restituzione alla vita, così come i termini stanno ad indicare. La suocera di Pietro, come indicano i termini usati nella lingua originale del Vangelo, viene fatta risorgere e restituita alla vita («Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano» Mc 1,31). Una guarigione profonda, come quella di domenica scorsa: liberazione da un male fisico e restituzione alla salvezza, più che alla semplice salute fisica (Mc 1, 23-26). Questa donna, infatti, liberata dal male, e si mette a servire («la febbre la lasciò ed ella li serviva» Mc 1,31). Questo termine “servire-servizio” copre un’area di significati che corrispondono alla missione di ogni cristiano: mettersi in gioco di nuovo con tutta quanta la sua vita a “servire” il prossimo nell’amore.
La Chiesa, per mandato di Cristo, istituzionalizza questo “servizio”, facendolo diventare il primo gradino dell’Ordine sacro, il diaconato, che esprime nella sua sostanza quanto Cristo stesso ha fatto: mettersi in gioco con la vita per l’uomo, fino al punto da donare la stessa vita per l’uomo, liberandolo dalle schiavitù del male, dell’apatia, dell’indifferenza.
“Una Chiesa che guarisce”
Il miracolo compiuto ha una grande eco. Alla porta della casa-chiesa di Pietro giungono tante persone, gravate da ogni sorta di infermità («tutta la città era riunita davanti alla porta. 34Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano» Mc 1,33-34). Dio, dunque, non sta a guardare dall’Alto del suo Cielo, dalla finestra della suo onnipotenza e perfezione, ma si coinvolge totalmente nell’umanità, divenendo lui stesso uomo, facendosi carico di questo male che travaglia la storia drammatica del mondo, portandolo sulle sue spalle, sotto il peso della croce, fino al dono totale di se stesso, nella morte di croce. Morendo sconfigge la morte e, risorgendo proclama la vittoria della Vita, quella eterna. Per questo Dio lo esalta come Signore e gli da quel nome unico invocando il quale siamo salvati (cfr. Fil 2,5-11).
Alla Chiesa il risorto chiede di fare lo stesso nei secoli e ad elargire la sua grazia vivificante, mediante l’offerta dei Sacramenti guarigione: battesimo e confermazione, penitenza e unzione degli infermi, ordine e matrimonio, al cui vertice c’è l’Eucarestia, il dono dei doni, Cristo stesso, che nel pane spezzato e nel calice condiviso, diviene fonte e culmine della vita cristiana. Nei secoli questa storia si ripete. Tanti hanno bussato alla porta della chiesa e sono stati raccolti, poiché a quanti hanno accolto il Signore, Dio ha dato la possibilità di diventare sui figli.
“Una Chiesa contro ogni autoreferenzialità”
La Chiesa, definita da san Paolo VI «esperta di umanità» (Paulus Pp. VI, Discorso all’Onu, 4 ottobre 1965), non ha da sé questo potere: esso proviene tutto in virtù del suo Signore, che ha donato lo Spirito “paraclito”, cioè l’avvocato, il consolatore, il guaritore, che continua questa missione (cfr. Gv 14,15-21).
Gesù lo mostra bene. In questo passo evangelico, dopo aver compiuto questi miracoli, fugge e si ritira a pregare. Nel Vangelo questo avviene quando Cristo è tentato da Satana. Lo dice il passo di oggi con parole che all’apparenza sembrano di passaggio, ma celano dietro di sé la provocazione diabolica: «Tutti ti cercano!» (Mc 1,37). In quel «Tutti ti cercano!» c’è la grande tentazione del successo di fronte non tanto all’essenza di quanto compiuto – la liberazione dal peccato – ma dall’evento somatico che ne segue – la guarigione dell’infermità -. Lo vogliono per farlo re e farlo fermare li a Cafarnao. Hanno trovato solo il medico e non il Cristo; hanno visto in lui un uomo a buon mercato e non il Messia e Signore. Cristo, vero uomo e vero Dio, rifugge e si rivolge al Padre suo per vincere questa tentazione di autoreferenzialità. Non vuole che l’uomo si illuda come lo inganno i poteri di questo mondo: Egli salva donando ciò che è più importante e che solo vale: la Salvezza eterna; non la salute fisica, che per quanto importante, è effimera e passeggera. Il nostro corpo è limitato ed è illusione renderlo eterno solo umanamente. Ciò che conta alla fine è la Salvezza eterna; ciò a cui l’umanità è destinata è la Vita che non conosce più limiti di spazio e di tempo. Perciò, scrive l’evangelista, dice agli apostoli: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!» (Mc 1,38); fugge e se va in altri villaggi a proclamare il lieto annunzio – il Vangelo – perché tutti coloro che cercano Dio con cuore sincero trovino in Cristo la vera ed unica risposta al desiderio innato di felicità che alberga nell’intimo dell’umanità.
Alla Chiesa Gesù affida lo stesso compito. Non fermarsi mai ma uscire verso gli uomini ad annunciare che Gesù è il Signore, il Salvatore.
Alla Chiesa Gesù affida il mandato di non essere autoreferenziale e paga dei successi umani che per quanto buoni sono limitati.
Infatti, come ci insegna bene il magistero del Concilio Vaticano II, solo Gesù è la Luce dei popoli e la Chiesa non risplende mai di luce propria, ma di quella della Resurrezione del suo Signore: «Cristo è la luce delle genti: questo santo Concilio, adunato nello Spirito Santo, desidera dunque ardentemente, annunciando il Vangelo ad ogni creatura (cfr. Mc 16,15), illuminare tutti gli uomini con la luce del Cristo che risplende sul volto della Chiesa. E siccome la Chiesa è, in Cristo, in qualche modo il sacramento, ossia il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano, continuando il tema dei precedenti Concili, intende con maggiore chiarezza illustrare ai suoi fedeli e al mondo intero la propria natura e la propria missione universale. Le presenti condizioni del mondo rendono più urgente questo dovere della Chiesa, affinché tutti gli uomini, oggi più strettamente congiunti dai vari vincoli sociali, tecnici e culturali, possano anche conseguire la piena unità in Cristo» (Lumen Gentium, 1).
Guai a quella comunità cristiana che si isola e si appaga solo di se stessa. È destinata a morire perché «come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me» (Gv 15,4). Questo è il mandato che ci è affidato dal nostro Signore, che diventa il nostro pane quotidiano da condividere al di là delle mura domestiche, al di là delle mura della chiesa-edificio, al di là delle strutture della parrocchia. Le forme e le modalità dell’annuncio cambiano: resta sempre e solo il Signore, il fondamento su cui costruire la propria vita e comunicarla agli uomini. Come scrive chiaramente san Paolo nella seconda lettura di oggi: «annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una necessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo! Se lo faccio di mia iniziativa, ho diritto alla ricompensa; ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato. Qual è dunque la mia ricompensa? Quella di annunciare gratuitamente il Vangelo senza usare il diritto conferitomi dal Vangelo» (1Cor 9,16-18).
Così sia per noi tutti!
Buona domenica
Padre Marco