Gioirono al Vedere il Signore. Omelia per la seconda domenica di Pasqua
Miei cari,
vorrei semplicemente commentarvi qualche passo del vangelo (Gv 20,19-31) di questa domenica, che chiude il giorno di Pasqua, l’ottava così come si definisce in senso stretto, si amplia nel tempo pasquale.
1.
«Mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei» (Gv 20,19)
Ad emergere è, anzitutto, la paura che attanaglia il cuore degli Undici e che fa loro chiudere non solo ogni pertugio materiale ma anche ogni fenditura spirituale. Tale, infatti, era stato lo shock subito di fronte della morte violenta del loro Maestro da bloccarli e renderli terribilmente prostrati e angosciati. Avevano perso tutto.
Questo sentimento lo conosciamo anche noi, quando si impossessa della nostra esistenza, come lo sperimentiamo in questa pandemia. È talmente potente da rinchiuderci in noi stessi, evitando non solo gli spazi fisici, ma anche le relazioni interpersonali, cercando noi, inutilmente, riparo dietro un muro fittizio di un’autoprotezione che a lungo andare risulta inutile e vana, dannosa e nociva.
2.
In questo tormento degli Undici – e nostro – irrompe il Crocifisso-Risorto, come scrive l’evangelista Giovanni, violando le leggi della natura: «mentre erano chiuse le porte del luogo … venne Gesù» (Gv 20,19).
Il Crocifisso- Risorto sfonda queste mura del cenacolo e irrompe nel cuore, andando oltre la nostra stessa comprensione. Il Crocifisso-Risorto interviene in persona, offrendo ai discepoli spaventati – e a noi tutti – la possibilità di poterlo incontrare direttamente. Ma non è né la loro bravura né la nostra che crea questo incontro: è il frutto dell’amore incondizionato di Dio, che si manifesta nella missione redentrice del Figlio suo Crocifisso e Risorto da morte.
3.
Continua l’evangelista nel suo racconto: «La sera di quel giorno, il primo della settimana, …, stette in mezzo» (Gv 20,19). Giovanni non dice che il Crocifisso Risorto viene “tra” gli Undici – e “tra” noi – ma evidenzia che Cristo Crocifisso e Risorto “sta nel mezzo” e “il primo giorno della settimana”. Giovanni descrive così il modo con cui il Crocifisso Risorto non solo si presenta ma si dona ai credenti per poterlo incontrare.
Traduciamolo per noi: Egli sta nell’assemblea liturgica festiva, che si raduna attorno a Lui e non semplicemente con lui, perché Cristo, nella Messa domenicale, è il centro vitale di coloro che si radunano e da Lui sono convocati.
4.
Convocati insieme, perché da soli non ci si salva mai. Degna di attenzione a quest’ultimo particolare è il fatto che l’apostolo Tommaso non ci sia in quella prima Pasqua e non possa di conseguenza credere: «Tommaso … non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: Abbiamo visto il Signore!. Ma egli disse loro: Se non vedo …, io non credo» (Gv 20,24-25, passim).
Si dovrà ricreare la stessa situazione, l’assemblea liturgica festiva, nel cui centro ci sarà di nuovo il Crocifisso-Risorto, attorno a cui saranno convocati i discepoli. Infatti, continua l’evangelista: «Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo» (Gv 20,26). Così avviene da quel giorno: da qui parte la scansione del tempo settimanale, che caratterizza la vita cristiana e che ci fa dire: «senza la domenica non possiamo vivere», perché essa non solo ci custodisce come cristiani, ma ci permette di incontrare il Risorto.
5.
In questo primo incontro annota Giovanni la prima parola di Gesù: «Pace a voi!» (Gv 20,19).
Se è vero che questo era il classico saluto degli Ebrei, in bocca al Crocifisso Risorto esso acquista uno spessore ulteriore. La pace di cui si parla è un annunzio divino rassicurante, capace di scardinare le porte dei cuori. È la pace che nasce dal dolore immenso del peccato di tutta l’umanità che il Crocifisso ha portato su di sé e che ha distrutto per sempre, annientando la morte con la sua resurrezione. Non è certamente la pace umana fatta di narcosi di fronte ai problemi o di aggiramenti di questi: prima o poi ritornano, rendendo peggiore l’esistenza. No! La pace pasquale è l’opera di chi è entrato nel problema, lo ha scardinato da dentro e ne uscito fuori trionfante.
6.
Ma anche questa pace non sembra essere sufficiente agli Undici, tanto che l’evangelista Giovanni aggiunge una nota finale a completamento del dono della fede in Cristo. Scrive: «Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore» (Gv 20,20).
L’aver sperimentato sulla propria pelle la malvagità del male assoluto segna per l’eternità il Crocifisso Risorto, che porta le piaghe gloriose di questo scontro. Apparire ai discepoli non basta, seppur violando le leggi fisiche. Augurare loro la pace pasquale nemmeno, per scardinare le porte del cuore. Occorre che i discepoli possano contemplare quelle piaghe gloriose, perché si realizzi in loro la Scrittura profetica: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto» (Gv 19,37).
Questo atto diventa il sigillo finale di chi ha contemplato nel corpo e nell’anima la gloria del Cristo Vivente e ora ne rende testimonianza a noi tutti perché crediamo «che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome» (Gv 20,31). Come del resto è scritto ancora a conclusione del passo di questa domenica: «beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!» (Gv 20,29).
Buona Pasqua!
Padre Marco