I molti messaggi e l’unica rivelazione. Il caso Medjugorje.
Finalmente Medjugorje! Dopo molti anni, il Dicastero per la dottrina della fede si è pronunciato. Con un testo ampio, articolato su tre assi: i frutti, i messaggi, i veggenti. Proprio tale ordine dell’esposizione rivela l’intenzione del documento: salvare i frutti, valutare i «messaggi», relativizzare i veggenti.
Salvare i frutti
Il primo intento è lodevole (nn. 3-5): è quanto si fa e si deve fare, quando un movimento o un gruppo spirituale è capace di attrarre molta gente attorno a una persona, a un messaggio o a un luogo. I molti frutti che nascono non dipendono direttamente da questi elementi, ma Dio si può servire di loro per far crescere un’autentica esperienza dello Spirito. Persona, messaggio e luogo sono l’«occasione» per questa riscoperta, ma non si può dire che ne sono direttamente la «causa». Bisogna ricordare che l’argomento «dai frutti li riconoscerete» (Mt 7,20) è molto delicato: i frutti sono veri se durano nel tempo. La storia di molti movimenti e storie personali degli ultimi cinquant’anni sta lì a ricordarcelo.
Valutare i «messaggi»
Il secondo aspetto del documento è persino troppo vasto (nn. 6-37): volendo ricostruire i temi dei «messaggi» il testo disegna quasi una «teologia di Medjugorje» (nn. 6-30), tentando di discernere ciò che è autentico e ciò che non lo è solo con il criterio di «coerenza col Vangelo» (nn. 30-36). Criterio decisivo, ma insufficiente, perché non risponde alla domanda di fondo: «Chi parla in questi messaggi?». In che modo possono essere attribuiti alla Madonna? E ancora: il cristiano deve tener conto dei messaggi? Oppure si tratta di una rivelazione «privata» che può essere utile per la devozione, per la stessa vita cristiana, ma che non è necessaria, e soprattutto non può pretendere l’assenso dovuto alla rivelazione «pubblica» contenuta nella Rivelazione della sacra Scrittura? Ma la distinzione di rivelazione «pubblica» e rivelazioni «private» non è debitrice di una concezione solo dottrinalista di rivelazione?
Non possono aggiungere o togliere nulla
Forse bisogna dire più semplicemente che la rivelazione è unica e completa ed è il dono della vita e dell’amore di Dio in Gesù Cristo, a cui possiamo partecipare mediante il dono dello Spirito. Le altre «rivelazioni» non possono aggiungere o togliere nulla alla salvezza portata da e in Gesù. Anzi quando le chiamiamo «rivelazioni» o «apparizioni» dobbiamo far attenzione a non cadere nell’errore di pensarle come informazioni che «aggiungono» qualcosa o qualche novità rispetto alla «verità, via e vita» comunicata in Gesù.
Se si pensa la rivelazione prevalentemente come insieme di dottrine, è facile porre la domanda sul valore di nuove «dottrine» o nuovi «messaggi» che potrebbero quasi venire a completare la rivelazione.
La rivelazione è completa e unica
Se però, la rivelazione di Dio è anzitutto la comunione offerta dal Padre nella storia di Gesù e nel dono dello Spirito, allora bisogna ricordare la parola di Paolo ai Romani: «Egli [Dio] che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?» (Rm 8,32). Dio non può dirci nulla oltre Gesù, perché in lui ci ha dato tutto. Non può dirci «altro», perché non può donarci nulla di più («ma che cosa non ci darà insieme con lui?» – esclama l’Apostolo) che la sua vita stessa nel Cristo, cioè in un cammino che ha volto e cuore d’uomo.
La rivelazione in Gesù è completa e unica. Tutti gli altri «messaggi» o «rivelazioni» (per quanto affascinanti e misteriosi siano) non possono aggiungere «altro». Eppure, qualche volta sembrano voler andare «oltre» e per questo suscitano curiosità, attrazione, bisogno di vedere, di toccare e di sapere. È l’attrazione tipica della vasta galassia del «mistero« e dei «nuovi» messaggi che incrociano il bisogno diffuso di spiritualità.
Un tratto di evidenziatore
Allora come sono da intendere questi «messaggi»? Sono solo rivelazioni «private» che non hanno rilevanza «pubblica»? Perché, però, la Chiesa riconosce (o non riconosce) la loro autenticità? Perché suscitano così tanta audience, così che anche sacerdoti e laici ne parlano nei loro incontri?
I messaggi profetici, antichi e nuovi, non sono altro che un appello e un richiamo, che fa accedere sempre all’unica rivelazione, quella del Signore Gesù. Se portano lontano da questa, se distraggono dalla concentrazione sul Crocifisso risorto è certo che non provengono da Dio. Quando vengono riconosciuti, sono quasi una sottolineatura, un tratto di evidenziatore, un accento forte con cui l’unica parola di Dio, che s’incentra nella pasqua di Gesù, viene detta nel momento storico, nell’oggi, nel tempo presente, per l’epoca attuale.
Capaci di introdurre alla pasqua di Gesù
Il confronto non va fatto prima di tutto a livello di proposizioni e di contenuti, ma per la loro capacità di introdurre alla pasqua di Gesù che rivela il volto del Padre e ci dona lo Spirito. I «messaggi» non sono né le uniche parole, né le più importanti. Perciò questi messaggi hanno sovente la forma dell’appello alla conversione, della messa in guardia dai pericoli, del sostegno nella persecuzione, della speranza e consolazione nella tribolazione. I messaggi o rivelazioni non aggiungono nulla alla pasqua di Gesù, ma mettono in luce il carattere drammatico della nostra risposta al dono di Dio.
Sottoposti alla Parola di Dio
Tali «messaggi» possono essere utili (forse per alcuni), in ogni caso non sono necessari (per tutti). Hanno una funzione di sostegno, di consolazione, di stimolo, di vigilanza, ma non possono sostituire o contrapporsi al fascino della parola del Vangelo che chiama, rincuora, giudica, guarisce e salva. Quando la Chiesa li riconosce perché non sono contrari alla testimonianza evangelica di Dio, essi però non sono una nuova «parola», ma piuttosto l’eco della sovrana Parola di Dio. È questo il criterio di fondo: che tutti i messaggi si sottopongano alla Parola definitiva e completa di Dio, che siano «relativizzati» a essa, perché si lasciano misurare da quella Parola, che non è solo una dottrina, ma è l’evento incandescente della nostra conformazione alla Pasqua di Gesù.
Relativizzare i veggenti
Per questo anche il terzo aspetto dei veggenti va relativizzato (nn. 1-3; 38-40). Il documento giustamente lascia la questione in sospeso. Ma il tema è solo rimandato, perché fin quando essi dicono di avere messaggi, sentire monizioni interiori o ogni altra forma di percezione spirituale, non si può esprimere un giudizio definitivo. Il pericolo è sempre incombente di scambiare la propria lingua e i propri contenuti di coscienza con la sovrana Parola di Dio. Gli stessi veggenti tendono a relativizzarli, per sottolineare che la cosa decisiva non è conoscere un segreto o un nuovo messaggio, ma custodire la santità della vita, la piena conformità alla croce di Gesù.
Forse tali «contenuti» sono offerti alla fede dubbiosa e debole di alcuni che vogliono ancora seguire messaggi straordinari. A me sembra già così straordinario ed esigente seguire il Cristo crocifisso e polveroso della mia Chiesa… che mi basta! Perché egli cammina sempre davanti a me e riesco a seguirlo solo con passo incerto. Questo è il mistero che non ho ancora finito di ascoltare e contemplare!
+ Franco Giulio Brambilla
VESCOVO DI NOVARA