Ripartire con la volontà di essere salvati. Lettera alla Comunità per le feste patronali 2021

È provvidenziale che quest’anno la nostra festa patronale si inserisca nella grande celebrazione della Pentecoste, la solennità che ricorda l’effusione dello Spirito Santo su Maria e gli Apostoli, riuniti in preghiera nel Cenacolo, e la nascita della Chiesa. È provvidenziale, poi, perché ogni festa patronale, dedicata a qualsivoglia santo o mistero della vita del cristianesimo, richiama, nella sua matrice più profonda, la presenza della Chiesa stessa tanto nella sua cattolicità, cioè nella sua estensione universale, tanto nella sua particolarità, cioè nella sua specificità territoriale. Questo è, il primo miracolo della Pentecoste: dalla fusione indistinta di Babele (cfr. Gen 11,1-9) all’unità molteplice di Gerusalemme (cfr. At 2,1-11).

È provvidenziale, inoltre, perché la Pentecoste e la Festa patronale di questo anno 2021 costituiscono, in un certo qual modo, la rinascita e l’uscita dalle nostre case, trasformatesi per la pandemia in cenacoli di paura e di preghiera, per ri-annunciare, mediante il dono dello Spirito Santo, non solo che «Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre» (Fil 2,11); non solo che solo Lui è «l’unico Salvatore del mondo» (S. Ioannes Paulus Pp., II, Cristo l’unico salvatore:catechesi del 4 febbraio 1998), poiché «In nessun altro c’è salvezza» (At 4,12); ma anche per ri-annunciare, mediante il dono dello Spirito Santo, che la Salvezza di Cristo «si estende sino agli estremi confini della terra» (At 1,8). Questo è il secondo miracolo della Pentecoste: tutti siamo chiamati e destinati alla salvezza nel Crocefisso Risorto.

È, infine, ancora provvidenziale, che la nostra festa patronale si inserisca nella grande celebrazione della Pentecoste, perché questa nostra famiglia umana inizia ad intravedere l’uscita da questo male oscuro che si è abbattuto a tradimento dentro le nostre famiglie e ci ha rinchiusi in una prigione di tenebra e di angosciante paura. La notte è stata lunga e, forse, non sarà ancora del tutto dissipata: ma lo Spirito del Risorto, Colui «che è Signore e dà la vita» (cfr. Credo Niceno-Costantinopolitano), oggi, ridà vita alla nostra speranza; speranza certa, perché il suo fondamento, sta nella «pietra scartata dai costruttori», che «è divenuta la pietra d’angolo» (Sal 118, 22). Questo è il terzo miracolo di Pentecoste: lo Spirito del Signore dona il coraggio. Lo Spirito del Signore dona la Speranza. Lo Spirito del Signore dona la Vita! Ecco perché «questo è il giorno che ha fatto il Signore: rallegriamoci in esso ed esultiamo!» (Sl 118,24)

Ma come fare per riprendere il coraggio, la speranza, la vita? Le risposte dipendono da altrettante domande.

2.

La prima. Dopo questa notte oscura, abbiamo imparato qualcosa dagli eventi di questo anno e mezzo?

La risposta, ciascuno di noi, la darà solamente con la testimonianza della propria vita, perché niente è scontato. Lo abbiamo visto e lo vediamo ancora. È solo nelle nostre concrete volontà aver compreso il mistero del male e la fragilità della nostra condizione, propria di questa esistenza terrena, che agisce in strutture di peccato personali e comunitarie. È nelle nostre concrete volontà aver imparato che, confidare solo in noi stessi, non basta; che ricercare salvezze illusorie, che producono al momento apparenti benefici, a scapito di risoluzioni definitive e risolutive, che abbracciano il senso compiuto di ogni vita, non è mai sufficiente. È, infine, nelle nostre concrete possibilità decidersi per il Dio-che-salva o per gli idoli-che-distruggono. Non si può continuare a scappare o a far finta di niente o a simulare paradisi illusori, che sono solo oppiacei e trasformano la nostra vita in una torre di Babele confusa e indista.

3.

Ma c’è una domanda ancor più cruciale, che questa nostra festa patronale, unita alla solennità della Pentecoste, ci chiede: vogliamo essere salvati o, solamente, guariti da uno dei tanti mali, che ci segnano?

Se tutto si riduce a questo secondo caso – la guarigione – non illudiamoci: ben presto altri mali verranno a bussare alla porta della nostra tranquillità. È inevitabile, perché – lo abbiamo toccato con mano – la nostra umanità è caduca, è fragile, è esposta a qualsiasi vento di tempesta, materiale o spirituale. Lo abbiamo visto con i nostri occhi! Si è impresso nella nostra psiche! Allora, se la scienza e la tecnica, a cui vanno certamente la nostra gratitudine per i passi compiuti, le faremo diventare la nostra sola fede, presto o tardi, ci risveglieremo dall’amaro torpore e le domande di senso faranno di nuovo capolino e busseranno alla porta del nostro cuore con più veemenza. Coloro che hanno indugiato in effimere liberazioni si risveglieranno di nuovo con un senso di frustrazione maggiore e di desolante arsura, che si tramuterà nella più aspra delle consapevolezze: che il solo nostro prometeismo umano non è sufficiente a colmare il vuoto che abita il nostro cuore.

Se, invece, la scienza con la tecnica riprenderanno il loro giusto posto assieme al progresso benefico per tutta l’umanità, resteranno, cioè, dei mezzi e noi dei fini, che esaltano la nostra capacità di vincere le avversità, ma non impediscono il sorgere delle domande del nostro desiderio di salvezza, della consapevolezza che, da soli, nulla possiamo, potremo allora lasciare che il vento dello Spirito, che soffia impetuoso, ci pervada, dirompa nell’intimo e risvegli, come profetizza Ezechiele, che anche le ossa inaridite riprendano vita (cfr. Ez 25,37,1-10).

4.

Ecco come vincere «il mistero dell’iniquità» (Ts 2,7), che è in atto questo mondo: mettendoci alla sequela del Risorto, che «lo distruggerà con il soffio della sua bocca» (Ts2,8), poiché Egli stesso dirompe dalla tomba, risorgendo dai morti; accogliendo la testimonianza di coloro che videro e incontrarono il Signore della Vita, che morto, trionfa; sentendosi parte della Chiesa, Corpo mistico di Cristo e Popolo di Dio in cammino nella storia; riprendendo la pratica – chiamiamola così seppur la definizione non sia delle più belle – riprendendo la pratica dei Sacramenti, dai quali scaturisce la Salvezza per l’uomo di oggi, di ieri, di sempre.

Accostiamoci, dunque, a questa fonte, mista di sangue ed acqua, che, scaturita dal costato di Cristo, innalzato sul trono della Croce, regna e glorifica l’intero creato. Andiamo a Lui, guidati dallo Spirito, il Maestro interiore, che ci conduce verso l’ineffabile grazia della salvezza, della quale più che mai abbiamo bisogno. Restiamo, soprattutto, uniti a Lui in queste impervie ed incerte vicende della vita, come i tralci alla vite (cfr. Gv 15,1-8). Non possiamo essere più solo credenti: occorre diventiare credibili nelle parole, nelle opere, nella vita intera, mostrando in noi Cristo, «che è lo stesso, ieri, oggi e sempre» (Eb 13,8).

Coraggio, rialziamoci insieme e insieme ripartiamo, perché nessuno si salva da solo!

Santa Rita, che ebbe impresso il segno della passione gloriosa sul fronte, che da credente visse nel segno totale della credibilità nella vita umana, cristiana, sponsale, materna, consacrata, ci sostenga e ci accompagni, oggi e sempre.

Buona Festa a tutti

Padre Marco

22 maggio 2021, nella memoria santa Rita e nella solennità di Pentecoste