Il lavoro che cambia e ci cambia

È noto a tutti. La pandemia ha riscritto una nuova fisionomia nel mondo del lavoro. Ed è anche cambiato il modo in cui le persone si realizzano attraverso il lavoro, richiamando così a un “prima” e un “dopo” che nella storia ha caratterizzato le rivoluzioni industriali epocali. In questo quadro, possono essere identificati tre grandi cambiamenti in atto su cui occorre riflettere. Anzitutto l’alleanza tra capitale e lavoro ha preso il posto del conflitto, tipico dell’era capitalista. Lo smart working ha dimostrato, in questi due anni, che le imprese sono pronte a cedere margini di fiducia verso i lavoratori e i lavoratori a responsabilizzarsi verso obiettivi di produttività. Con risultati in termini di profitto per le prime e di benessere per i secondi.  Il Covid ha svelato il valore autentico dell’impresa, quello di “intrapresa” tra forze diverse per raggiungere un obiettivo comune. Le antiche spedizioni marittime ne sono l’esempio: alcuni uomini investivano in esse parte del loro capitale e altri offrivano la loro forza fisica per la conquista di mercati lontani. È solo dopo la Rivoluzione francese del 1789, con la vittoria della nuova borghesia sul sistema feudale, che il “capitale”, di per sé buono, si è trasformato in quel “capitalismo cattivo” che ha raggiunto il suo apice agli inizi del Novecento, pretendendo di distribuire il potere e il controllo della società e del sistema economico-produttivo tra pochi a discapito di molti. Continua la lettura dell’editoriale di Ciro Cafiero sul sito di Comunità di Connessioni