La “questione giovanile”. Il lavoro e i tirocini
Calato il sipario sulle elezioni del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, occorre riportare al centro della scena un tema che lo stesso Capo dello Stato, nel corso del suo discorso di (re)insediamento, ha richiamato a gran voce, quello dei giovani e della loro condizione lavorativa. Il Presidente, parlando di come le nuove generazioni siano esposte al rischio di rimanere intrappolate in “periferie esistenziali” e in lavori precari e sottopagati, lo ha detto chiaramente: urge un cambio di rotta. Non meno severi sono i numeri. La percentuale relativa alla disoccupazione giovanile sia aggira intorno al 30%[1], la quota di Neet (Not in Education, Employment or Training) nel pieno della pandemia ha superato il 20%[2] e i giovani italiani vivono il periodo di transizione dalla fine degli studi fino all’ottenimento di un lavoro, più o meno stabile e soddisfacente, tra i più lunghi in Europa[3]. Una vera e propria “questione giovanile”, che si scontra con quello che il maestro Francesco Guccini ha definito il “perbenismo interessato” di tanti attori del dibattito pubblico, che lasciano spazio ai comizi ma chiudono le porte al coraggio di scelte necessarie per dare una svolta al sistema di ingresso dei giovani nel mondo del lavoro. Continua la lettura dell’editoriale di Tommaso Galeotto sul sito di Comunità di Connessioni