Route 2022, le parole del vescovo Franco Giulio ai giovani

Sabato 4 giugno, in Val Vigezzo, si è tenuta la Route diocesana dei giovani, sul tema “Avrò cura di te”. Circa 400 giovani dai 16 ai 30 anni hanno percorso il cammino da Santa Maria Maggiore a Re, riflettendo su alcuni brani della Fratelli tutti di papa Francesco. Alla conclusione la messa celebrata nel Santuario della Madonna del Sangue, insieme ai partecipanti agli esercizi spirituali diocesani per le famiglie. Di seguito i testi integrali dell’intervento del vescovo Franco Giulio che ha aperto la giornata, e della sua omelia conclusiva.

Amicizia, fraternità, fratellanza
Route dei giovani in Val Vigezzo, riflessione prima del cammino
Benvenuti in una delle valli più belle della nostra diocesi, detta “dei pittori” e “degli spazzacamini”. Ieri sembrava tornato l’inverno e oggi ci è donata una bellissima giornata! Sono contento perché rispetto all’anno scorso siamo aumentati di un centinaio, e anche se le lumache dopo un temporale fanno fatica a uscire, impegniamoci tutti così da arrivare al migliaio entro un paio d’anni. Così almeno mi piacerebbe!

Il tema di oggi è costruito su tre frasi e tre parole.

Le tre frasi

“Maestro, cosa devo fare per ereditare la vita piena?” (Lc 10,25)

Il cammino di oggi ha a che fare con la nostra vita “piena”. Non riguarda solo un sabato o semplicemente un altro dei nostri giorni o le vacanze, ma si tratta di riempire la vita intera.  La prima frase la leggiamo nel racconto dei racconti, nella parabola del Buon Samaritano. “Maestro che cosa devo fare per ereditare la vita eterna?”. La nostra traduzione, per oggi, è “Maestro, che cosa devo fare per ereditare la vita piena?”. Il cammino di oggi è qualcosa che ha a che fare con la nostra vita in pienezza. Non è un cammino limitato alla giornata di oggi, ma è qualcosa che ci aiuta a “riempire la vita”, che è vissuta così in pienezza da sfociare nell’eternità.

“Chi è il mio prossimo?” (Lc 10,29)

La seconda frase è “Ma quello, volendo giustificarsi, disse a Gesù: Chi è il mio prossimo?”. Questo modo di porre la domanda è un modo per giustificarsi, è un alibi. Gesù alla fine del racconto la cambierà: “Sei tu che ti devi fare prossimo”. Il prossimo è già lì: è quello che è lì dietro, che hai di fianco, che è là in fondo, è quello che non è venuto, è quello che sta fuori dalla staccionata. Il prossimo è già lì: non bisogna domandarsi “chi è?”. Occorre farsi vicini.

“Abbi cura di lui” (Lc 10, 35b)

La terza frase è quella più breve: “Abbi cura di lui”. Abbiamo un po’ tutti il delirio di onnipotenza di essere il Buon Samaritano e di essere migliori del levita e del sacerdote della parabola. Noi non siamo e non potremo mai essere il Buon Samaritano. Il Buon Samaritano è Gesù. E rimane solo lui. Ma Egli è il protagonista del racconto  e vuole mostrarci almeno come occupare bene il posto dell’albergatore. Il nostro posto è quello dell’albergatore. Dice il testo:

“Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: «Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno»”. (Lc 10,35)
Questo è il “tempo nostro”! Noi siamo nel tempo di mezzo: Gesù ci dà le due monete d’argento per l’oggi (quello che Gesù ha pagato per noi) e poi al suo ritorno ci darà il saldo. Nessuno di noi pensi di salvare il mondo da solo. Noi diamo il nostro piccolo contributo, ma solo se stiamo in quest’ottica. In questo breve passo sta il messaggio, il punto critico della parabola.

Noi siamo qui, siamo nel mondo, per aver cura dell’altro, in modo tale che l’altro ci faccia ritrovare noi stessi. Senza aver cura dell’altro non ritroviamo noi stessi. Come i bambini, per scoprire chi sono, devono lasciarsi guardare dal sorriso della madre, così noi perveniamo a noi stessi lasciandoci guardare dal sorriso, dalla presenza, dalla vicinanza, dalla prossimità dell’altro. Ma per lasciarci guardare così, abbiamo bisogno di uscire da noi stessi e andare verso l’altro.

 

Le tre parole

Le tre parole sono: amicizia, fraternità e fratellanza. Sono tre parole dai confini mobili, porosi. Però non sono uguali. E purtroppo noi le confondiamo.

Amicizia

Amicizia è voler bene all’altro. I poeti e i romanzieri dell’Ottocento le hanno definite come “affinità elettive”: “io mi trovo bene con questa persona”. L’amicizia può assumere anche la forma dell’amore tra un uomo e una donna. L’altro ha fiducia in me e io voglio bene a lui o a lei. L’amicizia non è per tutti, neanche per tanti, ma è per pochi. Procedendo nella vita, l’amicizia è come una piramide: da adolescente hai trenta amici, poi dieci, e infine sono tre. Se uno non ha amici, deve essere un po’ preoccupato. Perché significa che è ripiegato su di sé.

Fraternità

Fraternità non è solo voler bene all’altro, ma è voler il bene dell’altro e con l’altro. È un passo in più. La fraternità dovrebbe realizzarsi nelle nostre comunità, le quali dovrebbero avere non tanto dei confini, ma piuttosto essere uno spazio aperto che permetta di vedere oltre. Volere il bene dell’altro e con l’altro significa, ad esempio, che frequenterò un oratorio, un gruppo giovanile, una comunità non solo se mi trovo bene, ma anche quando è difficile, quando bisogna stringere i denti per costruire qualcosa insieme. Dovremmo parlare più che di gruppo, dove puoi anche star bene, di “squadra”, con la quale lotti e combatti per vincere insieme. La fraternità è costruire dei legami stabili: io mi lego a te perché voglio il tuo bene per te e con te.

 

Fratellanza

La terza parola, molto presente nell’enciclica di papa Francesco, Fratelli tutti, che oggi fa da filo rosso al nostro cammino, è fratellanza. La fraternità è lo zoccolo duro della fratellanza, che è più ampia e che riguarda tutti, anche quelli che sono al di là, che stanno oltre, persino quelli che non ci considerano. Fratellanza è volere insieme il bene comune. Ha a che fare con il bene comune, con la casa comune, e – come dice il Papa – con l’ecologia integrale. Per vivere bene dentro le nostre comunità, abbiamo bisogno che esse siano aperte a un sentimento di fratellanza. Dobbiamo costruire la casa comune.

Adesso voi camminerete lungo la Val Vigezzo. Vedrete che è una valle stupenda. È baciata dal sole. Questa è l’immagine della fratellanza; nessuno può sciupare questo ambiente e neppure i rapporti tra le persone, poiché l’ecologia non riguarda solo l’ambiente ma riguarda le persone, il modo di costruire le case e le strade, di raccogliere le cartacce, di non scrivere sui muri. Questo è il sentimento di fratellanza. Portiamolo nel cuore, nella preghiera, anche durante la Route. È un sentimento che purtroppo in questo momento è molto ferito anche dalla guerra. La cortina di ferro, che sembrava disciolta nel 1989, è riemersa in tutta la sua drammaticità. L’avvertenza finale è la stessa dell’inizio: “cosa devo fare per avere la vita piena?” Non si può avere la vita piena da soli. Per questo gli uomini e le donne oggi sono molto tristi, perché vogliono essere felici da soli. È un segreto sui cui bisogna riflettere bene. Auguri e buona Route.

I tre volti dello Spirito dell’Amore
Route dei giovani in Val Vigezzo, omelia alla messa conclusiva 
Introduzione
Siamo alla vigilia di Pentecoste, parola che deriva dal greco e che significa cinquanta. Infatti, nella notte che scenderà tra qualche ora, cadranno esattamente cinquanta giorni dalla notte di Pasqua. Presso gli ebrei, la Pentecoste era il giorno del rinnovamento dell’alleanza e del dono della Legge ed era collegata con la festa della mietitura.

Questa mattina abbiamo incominciato il nostro cammino attorno a tre parole e ora vorrei riprenderle. Adesso sono ancor più significative con il guadagno, con l’arricchimento della vostra riflessione, dei vostri incontri, dei vostri pensieri e delle vostre azioni durante la Route. Aggiungo ora qualche piccolo approfondimento.

Le tre parole di riferimento sono: amicizia, fraternità e fratellanza e vi spiegherò perché queste tre parole, rispetto alla breve descrizione che ho fatto nella mattinata, abbiano bisogno del valore aggiunto dello Spirito Santo.

 

Amicizia
Amicizia è voler bene all’altro. Perché ci vuole una marcia in più per volere bene all’altro? Di per sé sarebbe una cosa naturale: abbiamo parlato, infatti, di affinità elettive… Tuttavia, ci accorgiamo che è difficile costruire un’amicizia vera. Voler bene all’altro comporta che l’altro riconosca anche il nostro bene, che ci sia una sorta di reciprocità. E comporta di vedere l’altro non solo come “concorrente”, ma come “promettente”. Molti oggi vedono gli altri come concorrenti: la vita diventa una competizione, in tutte le sue sfaccettature. È invece difficile vedere l’altro come una promessa, come qualcuno che mi stimola ad arricchirmi e a crescere.

L’amico vero è l’amico promettente. Il che può prendere una scala di colori molto diversa, che può arrivare fino al voler bene all’altro che è altro da me, il bene tra l’uomo e la donna. Fino alla maxima amicitia, come la definisce San Tommaso: l’amicizia “più grande”. È un superlativo, che nell’esperienza dell’innamoramento può diventare il matrimonio. In tal caso è volere bene all’altro in modo che l’altro sia capace di essere per me una promessa, che mi mette in cammino, mi fa sognare insieme con lui o con lei, mi fa costruire un progetto così poco teorico, ma assai pratico che va oltre i due: la vita felice e il dono dei figli. Nell’amicizia c’è tutto questo, e ha tutte le scale della gradazione di colore: amicizia è il voler bene all’altro. Per questo l’amicizia è un evento spirituale, è il segno che ha bisogno anche dello Spirito, quello Santo, per durare a lungo nel tempo.

Fraternità

L’amicizia, tuttavia, non saprebbe stare in piedi se non ci fosse la fraternità. Fraternità non è solo volere bene all’altro, ma volere il bene dell’altro e con l’altro. È stabilire, cioè, dei legami con l’altra persona. In genere la fraternità si applica alla fraternità cristiana. Abbiamo detto questa mattina che si sta in un gruppo giovanile non solo perché ci si sente bene – o lo abbandona, quando non si sente più bene – ma perché costruisce un po’ di strada insieme alle altre persone. E “fare squadra” è importante, perché da solo cresco meno bene. Crescendo insieme, cresco con dei legami. Questo vale ancora di più nella società di oggi, perché molti sono figli unici. Chi ha dei fratelli, fa esperienza di fraternità in casa e questa esperienza si universalizza nell’esperienza di fraternità cristiana.

Coltivate bene il momento della fraternità: questa è la Chiesa. Per questo la Chiesa è l’evento dello Spirito. La Chiesa serve innanzitutto per cominciare a vivere bene in terra e poi per andare in Paradiso, costruendo quei legami che creano l’ordito per un tessuto forte e che influiscono poi anche sulla vita sociale. Se noi facessimo bene la Chiesa, avremmo già trasformato il mondo. Se la Chiesa è il luogo dove vado solo perché mi sento bene, perché cerco qualche compiacimento, tutto questo durerà solo una stagione. La Chiesa come luogo dello Spirito Santo è lo spazio dei legami che non vengono solo dalla carne e dal sangue, ma sono tenuti insieme dal dono dello Spirito.

Fratellanza
La terza parola è altrettanto importante: fratellanza. Fratellanza non è solo cercare il bene dell’altro e con l’altro, ma è cercare il bene dell’altro per costruire un mondo ospitale, una società giusta, un mondo abitabile, una casa comune. La fratellanza è tutto ciò. Per questo la fraternità non può avere confini che sono pareti, ma deve avere confini porosi, che permettono di vedere oltre, di andare al di là. Ci sono anche coloro che sono al di fuori, verso i quali dobbiamo andare. Essi ci fanno accorgere che ci sono i diversi, che non sono antagonisti, ma semplicemente quelli che ci stimolano ancora una volta ad uscire. La fratellanza è importante oggi, per vivere in questo mondo, come correttivo radicale alle forme di campanilismo, di sovranismo, di isolazionismo. L’altro non è sempre simpatico. È interessante ricordare i tre personaggi della parabola del “buon” samaritano (cfr. Lc 10,25-37): il levita e il sacerdote che avrebbero avuto il ruolo di prestare aiuto all’altro sono andati via per adempiere, secondo il loro ruolo istituito, ciò che era previsto per il culto al Tempio; il samaritano, che era un escluso e uno “scomunicato”, inverte il suo ruolo e diventa il prossimo. Anche la fratellanza si alimenta al dono dello Spirito Santo, che opera attraverso e al di là delle pur lodevoli e buone realizzazioni storiche della fraternità.

Conclusione
Se quest’anno riusciremo a portare a casa la convinzione di essere giovani che sanno vivere queste tre movimenti dell’amore, saremmo già a buon punto. Amore è una parola liquida, forse oggi è diventata persino “gassosa”.

Lo Spirito Santo è l’amore, perché è il motore di questi tre movimenti. Ne è la regola interiore. Non è la Legge scritta su pietra, che ci fa diventare il cuore di pietra, ma è la Legge che penetra nella carne, che ci fa diventare il cuore di carne, capace di amare, di stare vicino, di comprendere, di appassionarsi, di creare e di costruire insieme la casa comune.

Termino con un pensiero semplice. Usciremo certamente da questa situazione, così come hanno avuto termine la prima e la seconda guerra mondiale. Non siate così timorosi da pensare che non usciremo da questa situazione! È molto importante, però, la ripartenza. Vorrei che i giovani della nostra diocesi potessero ripartire bene all’inizio del terzo decennio del secolo XXI, che per certi aspetti ricorda la ripartenza alla fine del secondo conflitto mondiale, anche se in quel caso fu molto più complicato e difficile, come ci fanno comprendere i nostri libri di storia.

Mi piacerebbe che la nostra ripartenza, dal 2020 al 2030, desse un colpo d’ala, uno scatto d’orgoglio, per riuscire a costruire una casa, una comunità e una società più belle. Nella casa cresca l’amicizia, nella comunità abiti la fraternità, nella società fiorisca la fratellanza. E sapete quale sarà la sorpresa? Il mondo che costruirete è quello di cui potrete beneficiare. È il mondo che vi farà felici o meno felici. Con tanti auguri!

+Franco Giulio Brambilla
Vescovo di Novara