Ordine: dei moderni, degli antichi, di oggi
Viviamo nell’epoca del nuovo caos globale, dell’emergenza permanente, del succedersi di contingenze impreviste e ingovernabili: la cifra dell’attualità è innanzitutto il dis-ordine. Per questo i richiami all’ordine hanno particolare fascino. Stabilità, pace e tranquillità sono il punto di forza di letture della realtà che si sono tradotte anche in proposte politico-istituzionali. Ma si fa presto a dire ordine. La nozione che il “fare ordine” evoca un’esigenza di sicurezza. Il concetto di ordine sembra, quindi, inestricabilmente intrecciato a quello di autorità. Come nell’endiadi “legge-e-ordine”, il raggiungimento dell’“ordine” è visto come conseguenza di un atto d’imperio: il rispetto della legge, in quanto atto che promana dal detentore della potestà politica, è condizione di esistenza e di inveramento dell’ordine. Emerge una prospettiva di “ordine” tutt’altro che amichevole e tranquillizzante. In questa rappresentazione, “ordine” non è altro che l’affermazione del potere dello Stato, attraverso la rimozione degli ostacoli all’osservanza della sua legge, ossia del comando per eccellenza, che promana dal soggetto munito della sovranità. In quest’ottica, è chiaro che bisogna dare per acquisito che diritto e giustizia vivono in sfere differenti e separate: per il diritto, l’unica giustizia che rileva è la giustizia “legale”, in cui il problema della validità delle norme si pone nel senso affermato con esemplare chiarezza da Hans Kelsen: le leggi devono essere obbedite se, e nella misura in cui, “semplicemente […] sono state poste in una data maniera o poste da una data persona”. Lo Stato fa – crea – la legge, la legge va obbedita, ed è la forza repressiva dello stato che “fa ordine”. È questo (semplificando) l’ordine “dei moderni”. Ma esso si pone su una soglia difficile, pericolosa: la Storia insegna che invocare il pieno dispiegamento dell’uso (pur legittimo) della forza da parte del suo monopolista (lo Stato) è anticamera di ogni autoritarismo. Continua la lettura dell’editoriale di Giulio Stolfi – Comunità di connessioni