Il 75° anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani
Sono passati 75 anni da quando alcuni leader politici e intellettuali lungimiranti come F. D. Roosevelt, Eleanor Roosevelt, Jacques Maritain, John Humphry e René Cassin, ascoltando lo sdegno dell’opinione pubblica per le conseguenze della guerra, rivoluzionarono l’ordinamento internazionale ponendo la dignità della persona al di sopra della sovranità dello Stato. Da quella scelta politica è nata la Dichiarazione universale dei diritti umani, adottata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite riunita a Parigi, al Palais de Chaillot, il 10 dicembre 1948, che custodisce il codice genetico di una rivoluzione “umanocentrica” che, però, oggi, rischia di implodere. L’Italia ha potuto partecipare e accogliere la Dichiarazione grazie alla liberazione dal governo fascista e dall’occupazione nazista del paese del 25 aprile 1943. Fu un grande processo culturale e sociale che permesse di stringere un accordo politico senza precedenti. La Dichiarazione non esisterebbe se il 25 giugno del 1945, a San Francisco, non fosse stata adottata la Carta delle Nazioni Unite, che include una professione di impegno democratico («Noi, Popoli delle Nazioni Unite») e di «fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nella eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne» (Preambolo), e assegna agli Stati e all’ONU la missione di «promuovere e ed incoraggiare il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali senza distinzione di razza, di sesso, di lingua o di religione» (articolo 1.3). Continua la lettura dell’editoriale di Francesco Occhetta – Comunità di Connessioni