Le dieci parole della Fede. La presentazione della lettera pastorale del Giubileo

Dopo dodici anni

Quando nel 2012 venni tra voi, la prima domanda che vi avevo rivolto diceva così: “Come stai con la tua fede?”. E commentavo: «Non voglio chiederti anzitutto se la tua fede è certa o ciò in cui tu credi è vero, ma ti domando se la fede che senti, vivi, professi c’entra con la tua umanità, sta cioè “al centro” di ciò che desideri e sogni. Ti pongo una domanda sul primato della fede nella tua esistenza. Ti sfido a rispondere a una questione come questa: è possibile una “vita buona” senza la fede? O, con altre parole: la vita con tutte le sue relazioni “sta in piedi” senza la fede? La libertà dell’uomo è possibile senza credere, o credere – come dicono molti – è imporre un limite alla libertà? Forse è più facile intuire il senso della mia domanda se cambiamo il verbo: è possibile vivere senza sperare?»

Due appuntamenti ci stanno davanti il prossimo anno: i 1700 anni del Concilio di Nicea e il Giubileo del 2025. Il primo appuntamento ci parla del Credo, il simbolo della nostra fede; il secondo della speranza, il tema del Giubileo. Inizio dal primo appuntamento per arrivare al secondo: partiamo dalla fede per alimentare la nostra speranza cristiana.

Il credo di Nicea

Il Simbolo della fede, stabilito al Concilio di Nicea (l’odierna ?znik, in Turchia), durante il primo concilio ecumenico celebrato nel palazzo estivo dell’imperatore Costantino, affrontava la crisi della fede sorta con la controversia tra il Patriarca di Alessandria e il suo prete Ario. Quest’ultimo sosteneva che Gesù era solo una creatura “fuori serie”, un Dio di secondo grado, il primogenito della creazione, ma non il Figlio del Padre, Dio vero da Dio vero, uguale a Lui. Il pericolo era di vedere Gesù semplicemente come il profeta per eccellenza, un sapiente straordinario, ma non il Figlio che ci rivela e ci mette in contatto con la vita stessa di Dio. La minaccia toccava il cuore stesso della fede: Gesù non è solo un uomo esemplare o un saggio religioso. Non è forse questo, anche oggi, il pericolo più grave? Fare del cristianesimo una religione che insegna solamente l’amore del prossimo e la cura della casa comune, faticando a radicarla nella storia di Gesù che ci mette in comunione con Dio come Padre e ci dona lo Spirito Santo? Quale sarebbe allora la differenza cristiana?

Il simbolo della fede

La parola “simbolo” significa “tessera” della fede. La fede è un atto personale, ma deve essere professata attraverso una formula (professio fidei) che ci permette di condividere la stessa fede gli uni con gli altri, perché essa cementa la fraternità cristiana. Il termine “simbolo” deriva dal verbo greco “syn-bállo”, che significa mettere o tenere insieme. Gli antichi usavano una moneta o un oggetto prezioso, spezzato in due, che garantiva il portatore presso chi riceveva una merce o da cui doveva ricevere un pagamento. Era un segno di riconoscimento e un marchio di autenticità. Per i cristiani il simbolo (Credo) è la “tessera della fede”, un segno di comunione fraterna, che riconosce che tu, io e noi, siamo uniti nella forza e nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito.

La “tessera della fede” non è la fede, ma ne è il sigillo di riconoscimento. Il Credo è la bussola, non è il cammino, ma senza bussola il cammino della fede può perdersi nei sentieri interrotti della vita. Per questo la celebrazione del XVII centenario del Concilio di Nicea (325) è importante ed emozionante: dopo l’epoca eroica dei martiri, in cui la fede era più testimoniata nella pratica che proclamata nelle parole, nel grande cambiamento d’epoca, veramente cruciale, seguito all’Editto di Milano (313), i cristiani divennero sempre più numerosi e dovettero trovare la bussola per dire ciò che è essenziale per la fede. Il simbolo approvato dai padri al Concilio di Nicea nel 325 fu portato a compimento nel Concilio di Costantinopoli del 381 (il Simbolo Niceno-costantinopolitano, che professiamo la domenica durante la messa) in un tempo di grandi mutamenti.

In un cambiamento d’epoca

Anche noi stiamo vivendo un grande cambiamento d’epoca, con i suoi tratti vistosi che portano con sé la possibilità di un guadagno e di una perdita: lo sviluppo delle scienze della natura e dell’uomo, con il vantaggio di una conoscenza delle leggi del mondo e della vita, ma anche con la diminuzione della specificità della vita umana, della differenza di uomo e donna; lo sviluppo dei modi e strumenti della comunicazione, con il guadagno vertiginoso dei saperi, delle informazioni e della democratizzazione del loro uso, ma con la perdita della relativizzazione di ogni forma di verità e del venir meno di ideali e visioni comuni, polarizzati su estremismi di segno opposto; e, infine, la globalizzazione delle possibilità umane, con il vantaggio della circolazione di beni e conoscenze e della partecipazione al potere, ma con la perdita, avvertita come mortale, della burocratizzazione dei poteri sovranazionali a scapito delle identità dei popoli, e con lo sfruttamento indiscriminato delle risorse del pianeta.

La nostra fede cattolica

Il simbolo della fede inizia con l’espressione Io credo in… Tuttavia, nel simbolo approvato dai padri al Concilio di Nicea nel 325, completato nel Concilio di Costantinopoli del 381, il verbo “credo” era al plurale: noi crediamo in… L’attuale formula del Credo si spiega perché nel battesimo la professione della fede richiedeva il soggetto al singolare, in quanto ciascuno – come vediamo ancora oggi nel rito del battesimo – doveva rispondere personalmente della fede. Anche se era evidente che il battesimo si riceveva nel “noi” della fede della Chiesa e, per i bambini, dei genitori. La formulazione al singolare è rimasta nel Credo della messa domenicale, quando più tardi nel primo millennio passò dal battesimo anche nella celebrazione eucaristica.

Noi, dunque, possiamo credere solo nella sinfonia della “nostra fede cattolica”. Non è possibile credere da soli: se l’atto di fede non può che essere personale, diventa però possibile solamente nella trama dei legami ecclesiali. La fede – come la vita – non si inventa da capo, ma si riceve, e solo in quanto ereditata con un atto personale, diventa la mia propria fede. Infatti, la fede personale, anche la più mistica nella contemplazione e la più generosa nell’impegno, non può mai esaurire la “nostra fede cattolica”.         

L’oggetto della fede 

Dopo aver chiarito cosa significa dire credo in…, dobbiamo fermarci ora sull’oggetto della fede.  Il contenuto della fede, di ogni fede religiosa, non è tanto una dottrina o una tavola di valori etici, ma è il mistero infinito e (per molte religioni) personale di Dio. L’“oggetto” della fede non va pensato come una “cosa”, ma è una “persona”, anzi è la presenza di una persona. Per la religione ebraico-cristiana, in particolare, si tratta della storia con cui Dio stabilisce un’alleanza con l’umanità intera. È, dunque, un “oggetto” molto singolare, perché quando l’uomo esce da sé stesso verso il Dio presente (atto della fede), Dio viene incontro al suo popolo e all’uomo in modo provvidente e misericordioso (oggetto della fede).

Il battistero di Novara

Nel nostro battistero di Novara, la cui parte inferiore risale al IV secolo, è affrescato il Giudizio universale. Al centro vi campeggia la teoria dei dodici Apostoli, che sorreggono ciascuno un cartiglio con iscritto uno dei dodici articoli del Credo Apostolico. L’inserto degli Apostoli con il Credo non è consueto nell’iconografia del Giudizio, anche se è pieno di significati. Nell’affrescare il Giudizio universale sulla parete dinanzi alla quale i battezzati uscivano dalla vasca battesimale come uomini nuovi, l’aggiunta dei dodici Apostoli con gli articoli del Credo, sta a dire che l’amore su cui si è giudicati alla fine della vita (il senso del Giudizio) ha la sua radice nella fede che crediamo.

Il credo apostolico

Il Credo Apostolico non è la forma più antica della professione di fede, ma risale alla comunità di Roma del II-III secolo e ha sempre rappresentato il canovaccio per la “spiegazione della fede” (explanatio symboli). Nei secoli precedenti al concilio di Nicea era consueta la formulazione di simboli di fede propri delle singole Chiese locali. La chiamata dei vescovi a Nicea ha introdotto una duplice novità: per la prima volta si trattava di un Concilio a cui erano invitati i vescovi di Oriente e Occidente; la convocazione era indetta dallo stesso imperatore, il quale si intestava da sé stesso tale ruolo. Il Simbolo Niceno, integrato dal Concilio di Costantinopoli, fu recepito ufficialmente dal Concilio di Calcedonia (451) come il Simbolo Niceno-costantinopolitano.

Il simbolo niceno-costantinopolitano

Intendo proporre una lettura del Simbolo Niceno-costantinopolitano, confrontandolo con il Simbolo Apostolico. Cercherò di farlo secondo uno schema diverso dalla sua normale scansione trinitaria: credo in Dio Padre, credo in Gesù Cristo Signore, credo nello Spirito Santo. Questo è l’ordine dell’esposizione della fede, ma non è l’ordine della scoperta e dell’esperienza. La nostra fede nasce dal nostro incontro con Cristo. Gesù è il racconto della libertà del Figlio, che ci comunica il Dono di Dio Padre e creatore e, mediante lo Spirito vivificante, ci fa partecipare alla sua vita filiale e fraterna. Tento di tradurre la ricchezza del Credo in un percorso che possiamo intitolare le Dieci Parole della fede.

Il primo giubileo ordinario del III Millennio

Il prossimo anno 2025 non sarà solo il XVII centenario del simbolo di Nicea, ma anche il primo giubileo ordinario del terzo Millennio. L’anno giubilare del 2016 è stato solo una primizia di questo Giubileo, la cui scadenza ogni quarto di secolo intende mettere a disposizione di ogni generazione un tempo di grazia, di penitenza e di rinnovamento. I due temi più importanti sono il pellegrinaggio e la speranza.

Pellegrini…

Il pellegrinaggio ad limina apostolorum, sulle tombe degli apostoli Pietro e Paolo, intende farci ritornare alle radici della fede. Per questo l’anniversario del Credo di Nicea e il pellegrinaggio a Roma s’illuminano a vicenda. Una riflessione spirituale sul pellegrinaggio può interpretare le forme con cui l’uomo, per rinnovare la propria identità, deve attingere a una riserva di senso che colmi la sua natura estroversa e pellegrinante. Egli deve abitare uno spazio e un tempo “altro” e incontrare “altri” per ritrovare sé stesso. L’uomo si forma nella sua relazione all’altro e attraverso il racconto di un’esperienza e di un incontro. L’homo faber che produce e trasforma, calcola e costruisce, quantifica e accumula, ha bisogno dell’homo viator che si meraviglia e incontra, che perde tempo per trovare il proprio ritmo temporale, che esce da sé per ritrovare sé stesso. Tutte le forme dell’uscita della casa, dell’evasione dalla vita feriale, dell’andare verso l’altro, dell’in­contro con il diverso, del confronto multiculturale, della sfida spirituale, dell’esercizio corporeo, sono modi necessari per strutturare la propria identità. Anzi essi sono anche modi per ritrovare la propria identità perduta, l’umanità ferita, la relazione infranta, la comunità frammentata, il corpo sciolto, la vita leggera e la speranza viva.

La coscienza cristiana può vivere in questo anno di grazia con un soprassalto di speranza. Dovremmo far scoprire il tratto escatologico dell’an­nuncio del Vangelo. Noi siamo “stranieri e pellegrini” – ci ricorda la Prima Lettera di Pietro – che «dobbiamo rendere conto della speranza che è in noi» (1Pt 3,15) in un tempo di difficile speranza. Dovremmo quindi far scoprire, dentro le forme frammentate e disperse con cui si vive oggi la partenza da casa e la ricerca di nuovi approdi, la nostalgia dell’homo viator, rivelare il pellegrino dell’As­soluto dentro le forme fragili della vita odierna. Questa è la speranza che possiamo trasmettere attraverso la “spiritualità” del pellegrinaggio, per mettere alla prova la nostra identità da ricostruire e restaurare sempre da capo. Il pellegrinare deve incidere sul corpo, sulla fatica, sull’immaginario, sui desideri, deve mettere alla prova noi stessi. Il pellegrinaggio ha un carattere agonistico e agonico, è sfida al tempo che passa, alla morte che affligge il nostro quotidiano corroso dal consumismo e dall’iperattivismo. Il pellegrinaggio è luogo della “conversione”, della guarigione delle ferite dell’io, della redenzione dei blocchi comunicativi, del ricupero dell’uomo come essere di relazione. Alla fine, ha bisogno di una mèta che può ritrovare nella fede degli Apostoli, che vi ho illustrato attraverso le Dieci Parole della fede, perché rinnovi coraggiosamente il nostro essere discepoli di Gesù e fratelli nella comunità dei credenti. 

…di speranza

Per questo Papa Francesco ha dato al Giubileo questo tema: pellegrini di speranza. Nella bolla di indizione ha scritto: «La speranza è anche il messaggio centrale del prossimo Giubileo, che secondo antica tradizione il Papa indice ogni venticinque anni. Penso a tutti i pellegrini di speranza che giungeranno a Roma per vivere l’Anno Santo e a quanti, non potendo raggiungere la città degli apostoli Pietro e Paolo, lo celebreranno nelle Chiese particolari. Per tutti, possa essere un momento di incontro vivo e personale con il Signore Gesù, «porta» di salvezza (cfr. Gv 10,7.9); con Lui, che la Chiesa ha la missione di annunciare sempre, ovunque e a tutti quale «nostra speranza» (1Tm 1,1). Tutti sperano. Nel cuore di ogni persona è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé. L’imprevedibilità del futuro, tuttavia, fa sorgere sentimenti a volte contrapposti: dalla fiducia al timore, dalla serenità allo sconforto, dalla certezza al dubbio. Incontriamo spesso persone sfiduciate, che guardano all’avvenire con scetticismo e pessimismo, come se nulla potesse offrire loro felicità. Possa il Giubileo essere per tutti occasione di rianimare la speranza» (Spes non confundit, 1). Anche noi andremo in pellegrinaggio, portando nel cuore le Dieci Parole della fede, stringendoci a Cristo pietra viva, per essere edificati come pietre vive per costruire un edificio spirituale, gradito a Dio (cfr. 1Pt 2, 4-5). Maria, Vergine fedele e Madre della speranza, ci accompagni nell’avventura del pellegrinaggio giubilare!