“LA SOSTA CHE RINFRANCA”. Lettera per l’inizio dell’anno pastorale 2017-2017

Cari Amici!

siamo arrivati al termine dell’estate e, giunti all’autunno, riprende in forma ordinaria il nostro cammino, dopo la meritata sosta che rinfranca.

Anche la liturgia usa quest’ultima espressione durante la messa, immediatamente dopo la presentazione dei doni: «Pregate, fratelli e sorelle, perché il sacrificio della Chiesa, in questa sosta che la rinfranca nel suo cammino verso la patria, sia gradito a Dio Padre onnipotente» (dalla Liturgia). È una delle formule che il sacerdote utilizza invitando l’assemblea, raccolta all’altare, al Rendimento di Grazie, all’Eucarestia.

Credo che occorra ripartire, come comunità di Credenti, sempre da qui: in questa sosta che la rinfranca nel suo cammino verso la patria. Dal centro. Dall’Eucarestia. Per portare un frutto che rimanga.

Vorrei spiegarvelo con le parole di tre grandi padri del nostro tempo, che a ragione possono essere buoni maestri, perché hanno vissuto coerentemente con quanto hanno annunciato: san Giovanni Paolo II, il cardinale di Milano Carlo Maria Martini, il vescovo di Novara dell’immediato dopo concilio, Aldo Del Monte. Ho riletto durante l’estate scorsa, alcuni loro scritti. Ve ne do il succo.

Il nostro cammino quotidiano nel Signore

Dunque, ripartire. Ma da chi e da dove?

San Giovanni Paolo II con la sua ultima enciclica (2003), Ecclesia de Eucharistia, ha scritto che «la Chiesa vive dell’Eucaristia. Questa verità non esprime soltanto un’esperienza quotidiana di fede, ma racchiude in sintesi il nucleo del mistero della Chiesa». (Eccl. de Euch., 1)

Ecco molto semplicemente come e da dove ripartire come comunità di credenti: dal centro del nostro essere credenti. Non so come sarà l’anno che mi aspetta. Ma, come cristiano, so sicuramente che nell’Eucarestia, che si celebra ogni domenica, incontro il centro di ciò che mi porta a pienezza: il Signore risorto.

Vivere lo straordinario del nostro ordinario

Sì, vero ripartire col Signore: ma per fare che cosa?

Il cardinale Carlo Maria Martini, al termine del Sinodo diocesano da lui condotto, scrisse alla fine di quell’esperienza ecclesiale, una bellissima lettera pastorale agli ambrosiani, intitolata Ripartiamo da Dio!.

Così l’indimenticato cardinale si esprimeva all’inizio di quello scritto: «18 giugno 1995, domenica del Corpus Domini: processione sui Navigli. Sto tenendo fra le mani l’ostensorio con il pane consacrato che è il Signore Gesù morto e risorto per noi e moltissima gente adora il Signore con me. Si concentrano in quest’ostia i ricordi dell’anno, la conclusione del Sinodo, le memorie di quindici anni di episcopato a servizio di questo popolo. Contemplo il Signore e mi prende come un brivido di spavento per la sua inermità. È qui osannato da tanta gente, eppure è debole e tutto si lascia fare dalle nostre mani. Potremmo fare di Lui qualunque cosa e non reagirebbe, come non ha reagito nella Passione. […] Ma ripartire come? e da dove? Qui la Tua essenzialità, o Signore, mi grida: mi sono spogliato di tutto, ho lasciato perdere tutto, per mostrare solo il Padre, il Suo amore per voi. Sì, ne sono certo: da Dio occorre ripartire, dall’Essenziale, da ciò che unicamente conta, da ciò che dà a tutto essere e senso». (Ripartiamo da Dio, 1)

Anche noi abbiamo terminato il XXI sinodo diocesano, sotto la guida del vescovo Franco Giulio. E ora dobbiamo ripartire. Molti si domandano da dove e per fare che cosa. Rispondo molto semplicemente: dal Signore per vivere, in modo straordinario, l’ordinario della mia vita.

Per portare un frutto che rimanga

Infine, se sono col Signore risorto e vivo straordinariamente, che cosa ne viene?

Mons. Aldo Del Monte, nostro amato vescovo prima del card. Corti e di mons. Brambilla, nell’omelia del giovedì santo del 1984, riprendendo le parole di Algero di Liegi, un grande teologo dell’XI secolo, nel De Sacramentis, diceva ai suoi sacerdoti – tralascio la citazione latina -: «Non si celebra veramente Cristo, là dove da questa celebrazione , non rinasce l’universo. E quindi non è compiuta l’eucarestia, se non ne sgorga e non ne viene comunicata la grazia dell’unità del corpo di Cristo. […] Celebrare l’Eucarestia non significa svolgere un rito, bensì rinnovare sotto gli occhi del mondo questo prodigio inaccessibile a tutte le forze e a tutte le semplici regole umane. […]».

Non ci spaventino queste parole per la profondità dei concetti che esprimono o per la richiesta che essi vogliono da ciascuno di noi.

Non ci spaventi la meta finale che indicano: Dio e l’universo.

Non ci spaventino le modalità per raggiungerla: il vincolo della comunione con Cristo, quello della comunione nella Chiesa, quello infine della comunione col mondo.

Non si celebra veramente Cristo, là dove da questa celebrazione , non rinasce l’universo

Il vescovo Del Monte incoraggiava concludendo così quell’omelia: «Se è perfetta nell’amore, la comunità cristiana diventa esattamente anche forma dell’universo. Aggrega gli uomini nell’unità del tempio e dello spirito; li accomuna nella coscienza di essere tutti insieme figli di Dio; irradia sulle loro ferite sanguinanti il balsamo della bontà evangelica; apre i loro occhi alla bellezza del divino che riporta l’uomo allo splendore antico; li risana profondamente, nella radice delle loro anime, con la luce della verità rivelata. E si ritorna a vedere l’unità dell’uomo unico e universale: ripeto, perché l’uno, il vero, il bello e il buono sono rivelazione dell’Assoluto che è l’unica sorgente di vita».

Questi sono i frutti dell’ordinaria presenza del Signore in noi e di noi in lui.

Frutti che auspichiamo in ciascuno di noi in questa nuova ripresa dell’anno pastorale che ci sta davanti.

Frutti che rimangono perché viviamo nel Signore risorto.

Come dice Gesù nella preghiera sacerdotale dell’Ultima Cena: «Padre, non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell’unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me». (Gv 17, 20-23)

Buon cammino!

Vostro,

padre Marco

11 settembre 2017,

ad un anno dall’ingresso in mezzo a voi