Le parole del vescovo per la conclusione del XXI sinodo diocesano.
LAETETUR ET MATER ECCLESIA
Chiusura del XXI Sinodo diocesano
Santuario di Boca, 29 settembre 2017
«Laetetur et mater Ecclesia, tanti luminis adornata fulgoribus, et magnis populorum vocibus haec aula resultet». Gioisca la madre Chiesa,splendente della gloria del suo Signore,e questo tempio tutto risuoniper le acclamazioni del popolo in festa. (Preconio Pasquale)
A Pentecoste dell’anno di grazia 2014 abbiamo iniziato il nostro Sinodo, il nostro cammino insieme. Ora sotto la protezione dei santi Michele, Gabriele e Raffaele, gli arcangeli della potenza, dell’annuncio e della cura di Dio, portiamo a compimento questa sera il XXI Sinodo della Chiesa gaudenziana. Ecco il bimbo è venuto alla luce: quando nasce un bimbo è un dono gioioso, poi diventa talvolta un compito gravoso. Per questo il Sinodo termina, ma il cammino continua. Vorrei rispondere con voi a tre domande: quale eredità ci lascia il nostro Sinodo? cosa è stata per noi l’esperienza del Sinodo? su quali piste bisogna camminare per il futuro?
- L’eredità del XXI Sinodo della Chiesa di Novara per l’inizio del XXI secolo
L’eredità del XXI Sinodo fa quasi da portale al XXI secolo, appena iniziato. Possiamo esprimere questa eredità semplicemente così: dobbiamo essere una “chiesa di pietre vive”! L’espressione è tratta dalla Prima Lettera di Pietro: «Avvicinandovi a lui, pietra viva, rifiutata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio, quali pietre vive siete costruiti anche voi come edificio spirituale, per un sacerdozio santo e per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, mediante Gesù Cristo» (1Pt 2,4-5).
Cristo è la pietra viva, la roccia sicura, che bisogna scegliere. Notiamo il bel gioco di significati. È Pietro che parla! Pietro è la roccia su cui viene edificata la chiesa. Egli però rinvia alla pietra angolare che è Cristo, senza la quale la chiesa è costruita sulla sabbia. Su Gesù roccia viva, anche noi come “pietre vive” dobbiamo lasciarci edificare come “casa spirituale”, costruita da un tempio di persone, che devono esercitare un sacerdozio santo nella vita quotidiana di ogni giorno. Ma che cosa significa questo per noi oggi? Mi sembrano tre le cose importanti.
Primo: non bisogna sbagliare il fondamento che è il Signore Gesù. Bisogna avvicinarsi a Lui, cercarlo, amarlo, seguirlo, sceglierlo ogni volta come il centro, come colui che sta sopra ogni cosa e che è presente tra noi quale motivo reale della vita buona.
Secondo: bisogna lasciarci edificare come una costruzione di pietre vive. Entrare nella chiesa è un dono: siamo chiamati, scelti e, come la pietra, che è materiale inerte e amorfo, siamo vagliati, sgrossati, sagomati e scalpellati per essere incastrati e compaginati al fine di costruire un edificio spirituale. Si deve costruire la chiesa come una grande cattedrale dello spirito.
Terzo: l’agire pastorale della chiesa chiama i credenti a esercitare un sacerdozio santo per offrire sacrifici spirituali. Non si va in chiesa a celebrare il culto per poi tradurlo nella vita. Questo ha già separato ciò che è originariamente unito. La vita nell’amore e nella carità, la vita umana degna d’essere vissuta, è fatta di legami e di riti. Diventa “vita nello Spirito”, se quei legami e quei riti si lasciano toccare dalla grazia del Signore, dalla sua presenza che offre sé stesso per noi. Questa è la chiesa di Gesù!
Il Sinodo ci chiede di essere chiesa e fare parrocchia in modo nuovo. La “voglia di comunità” che attraversa oggi la nostra società individualista non dev’essere solo uno “star bene insieme”, ma soprattutto un “camminare verso il bene” e “facendo il bene”. In una grande cattedrale nessuna pietra pensa di essere un tassello inutile, perché non svetta sulla guglia del duomo. Anche i gradini di ingresso sono importanti per introdurre al centro del tempio santo, così come i decori dei capitelli rendono splendente il racconto dell’edificio spirituale. Ogni “pietra viva” ha il suo posto: chi sta presso l’entrata può favorire l’ingresso, chi sta nel portico fa passare dal profano al sacro, chi è nella navata accoglie la vita della gente, chi sta nel presbiterio fa transitare al santo, chi è nell’abside intravede lo sguardo del Cristo benedicente e creatore di tutte le cose.
Possiamo dire che le nostre comunità siano variegate e belle come le pietre di una grande cattedrale? L’“edificio spirituale” che dobbiamo costruire è la chiesa di persone, è la casa di tutti, ma questo “tutti” non indica un numero generico, ma una foresta lussureggiante di pietre vive diverse, amanti, oranti, speranti. Non un gruppo di prescelti che hanno affinità elettive, ma assemblea di coloro che hanno sperimentato misericordia per trasmettere tenerezza e carità.
- Cosa è stata per noi l’esperienza del Sinodo?
È stata una riunione di famiglia, nella quale il Vescovo con un grande numero di sacerdoti e laici hanno pregato e discusso insieme per trovare e indicare le vie del futuro. Prima sono avvenute numerose assemblee nei Vicariati, poi 13 sessioni sinodali generali hanno permesso di elaborare un testo di 70 numeri, agile e accessibile, che è come la “carta di intenti” per la vita pastorale della Diocesi del prossimo futuro.
Il sinodo di carta deve diventare ora il sinodo di carne, deve scendere nelle nostre comunità, trasformare il volto delle nostre contrade, mutare la qualità delle nostre relazioni, dare scioltezza ai nostri ambienti, rendere attraente la vita delle nostre comunità, mettere in gioco nuove figure di laici, prendersi cura delle famiglie, sia nel loro sorgere sia con le loro ferite, puntare sulla formazione dei giovani, coinvolgendoli nell’avventura della loro crescita in formato adulto.
E quali sono le sue scelte strategiche? Potremmo dire che c’è una sola scelta strategica fondamentale. Dobbiamo attuare uno scambio più assiduo tra le parrocchie vicine, lavorando insieme nelle Unità Pastorali Missionarie. Le UPM non sono prima di tutto una questione organizzativa, ma sono un antidoto alla morte della parrocchia che si trincera attorno al proprio campanile. Provate ad osservare la povertà di alcune parrocchie, ma anche la fatica di quelle che possono ancora far conto su molte iniziative: tendono a diventare circuiti ristretti, chiesuole dove si sente sempre la stessa musica.
Forse è giunto il tempo di dire: curiamo molto di più il clima delle nostre comunità, cioè le relazioni di stima, fiducia, attenzione, concordia, pace, affetto, dedizione, amore. Sono parole che stanno perdendo di spessore e le nostre comunità cristiane sono spesso piene di cose da fare e povere di significati e di relazioni da scambiare.
Questo è il volto missionario della parrocchia: un’autentica comunità fraterna! Questo è il bene più grande che possiamo dare oggi, soprattutto in città, dove tanta è la solitudine, l’invidia, la gelosia, la maldicenza. Se le parrocchie fossero luoghi di riparo per la preghiera, spazi di ascolto per chi è turbato, motivo di incontro per chi è solo, sarebbero già capaci di attirare per il clima che si respira.
- Su quali piste bisogna camminare per il futuro?
Il XXI Sinodo diocesano ha posto al centro tre attenzioni: i giovani, la famiglia, i ministeri laicali. La pastorale giovanile e la pastorale familiare saranno il “volano” di una pastorale che rompe il regime di “campanilismo” delle parrocchie e di “appartamento” delle famiglie, andando al di la? dei confini della parrocchia autocentrata e autarchica. Pastorale giovanile e pastorale familiare possono diventare le due leve su cui agire per una risposta piu? dinamica ai gravi problemi del tempo presente.
I ministeri e i servizi laicali, che operano all’interno e all’esterno delle comunità cristiane, diventeranno sempre più presenze necessarie. Ciò significa che non bisogna fare di più, ma essere di più. Occorre che i sacerdoti ripensino il loro ministero nella parrocchia, lasciando molti compiti impropri che li dissipano e non li rendono disponibili all’ascolto delle persone; ed è necessario che i laici accedano a forme più intense di partecipazione alla vita della chiesa, al suo interno e al suo esterno, formandosi a uno stile non di dominio o di egemonia, ma di vero servizio.
La nostra Diocesi anche su questo punto non è all’inizio: dopo il Concilio sono sorti i ministeri liturgici, le figure educative, in particolare la schiera dei catechisti, i molti animatori dell’oratorio, gli operatori caritas, i membri dei consigli economici, gli inviati in missione e i tanti volontari dedicati all’assistenza e alla disabilità, le innumerevoli presenze in associazioni e movimenti.
Tutta questa galassia di cristiani popola il volto delle nostre comunità ed esige di essere valorizzata e messa sul candelabro. Forse bisognerà dare maggior evidenza e riconoscimento a queste figure. Ora che il Sinodo chiude il sipario, non si spengono però le luci sul sogno della chiesa di domani.
Pochi giorni fa ho letto d’un soffio un libro esilarante, intitolato: Il Signor Parroco ha dato di matto (J. Mercier, San Paolo, Cinisello Balsamo 2017). Vi sono raffigurati tutti i pregi e i difetti delle nostre parrocchie. È pieno di aforismi bellissimi sulla vita delle nostre comunità, ma contiene anche pagine sapienziali. Vi faccio ascoltare questa che è come la morale del libro. Ed è anche la sintesi del nostro Sinodo, l’augurio del vostro Vescovo.
Questa riappropriazione della nostra identità profonda è necessaria per tutti, e soprattutto per quelli che non sono né sacerdoti né diaconi… Bisogna che i laici si riappropriano della loro identità davanti a Dio e davanti agli altri, dal punto di vista teologico. Ciò avviene mediante una presa di coscienza di quello che essi sono in forza del loro battesimo. Ecco la vera rivoluzione di cui la Chiesa ha bisogno, la riforma basilare. Ciò vale per tutti i cristiani: cattolici, protestanti e ortodossi… E va molto al di là degli sconvolgimenti, inevitabili, di cui tutti si riempiono la bocca. Che certi preti abbiano spostato la loro canonica in un camper, che si buttino col paracadute per raccogliere fondi, o che ne so ancora, va senz’altro benissimo… Queste iniziative sono valide, ma la cosa essenziale è che i battezzati riscoprano il potere e norme che Cristo conferisce loro in forza del battesimo (p. 137).
Sì, il potere di essere cristiani testimoni!
+Franco Giulio Brambilla