Niente sindromi di protagonismo e di onnipotenza: le parole del nostro vescovo ai sacerdoti

E’ stata una riflessione sul senso profondo della missione sacerdotale, che si è allargata al lavoro pastorale che l’intera comunità cristiana è chiamata a svolgere, quella che ha proposto mons. Franco Giulio Brambilla, durante la Giornata di Fraternità Sacerdotale 2019, a tutti i sacerdoti.

Una riflessione tutta centrata su un tema caro al vescovo: quella della responsabilità della “traditio”, della trasmissione della fede, che se da un lato segna il senso di appartenenza ad una storia condivisa, dall’altro non può derogare ad un impegno ad attualizzare e a rendere vivo nell’oggi l’Annuncio. «A noi è chiesto di essere chiesa, – ha detto il nostro vescovo – costruendo un anello della tradizione: completando magari qualche cosa che manca all’anello precedente, e aprendo spazi per coloro che ci seguiranno. Perché la Chiesa viene prima di noi, passa attraverso di noi e procederà dopo di noi».

Con due preoccupazioni, quasi due stati patologici che possono affliggere il presbitero: la «sindrome di protagonismo» e la «sindrome di onnipotenza». Guarendo, o prevenendo i quali, i sacerdoti potranno essere – come indica il vescovo nel titolo scelto per questo intervento – non solo veri «padri, maestri e guide», ma esserlo «come fratelli». «Possiamo dirci padri, maestri e guide, sapendo che l’unica guida è il Signore, l’unico Padre è nel cielo, l’unico maestro è lo Spirito, e per esserlo noi possiamo farlo soltanto insieme! Sfuggendo magari alla sindrome del protagonismo, dell’essere i più bravi, di essere, come si diceva una quarantina di anni fa, “profetici”», ha sottolineato gravemente mons. Brambilla. «Molta pastorale  – ha aggiunto con viva preoccupazione – è attraversata da una “sindrome di onnipotenza”, che pensa di fare bene perché ha fatto tanto e non perché la sua qualità è custodita, giorno per giorno, con una tonalità che si alimenta ad alcuni gesti. Se noi abbiamo dato tutto in modo quantitativo, alla fine non abbiamo più nulla da dare! Se, invece, agiamo in modo qualitativo, allora non solo sappiamo dare, ma anche ricevere! È una vecchia diceria cattolica, quella per cui bisogna amare in modo unidirezionale, senza saper ricevere, senza anche farsi amare! Farsi volere bene dalla gente, lasciarsi dire “grazie”, farsi apprezzare, incoraggiare, stimolare, è un modo di amare, anzi di essere riconciliati con se stessi! La cura della propria corporeità, della propria umanità, dell’ordine, della pulizia, della casa, la custodia degli occhi e del cuore, sono decisive per questa totalità qualitativa».

Il testo integrale dell’intervento sul sito diocesano