Le quattro parole del prete. Omelia per la prima messa di don Andrea Lovato

Carissimo don Andrea,

è la prima volta che sono chiamato a fare l’omelia per una prima messa e mi sento un po’incerto, perché molte cose si potrebbero dire, ma solo alcune è necessario non tacere. Ne ho scelte quattro.

Grazie

La prima e fondamentale parola che ti dico è Grazie!

Grazie perché hai detto di sì al Signore che «ti ha chiamato fin dal grembo materno» (cfr. Is 49,1) e, superando con tenacia tante piccole e grandi prove quotidiane, hai perseverato nel cammino di discernimento, che oggi ti porta all’Altare del Signore per celebrare il Rendimento di Grazie per la remissione dei peccati.

«Essere e non fare»

La seconda parola, altrettanto importante, mi sembra questa: sei stato unto «per essere» prete, ma non «per fare» il prete.

Nonostante tutte le caricature con le quali le persone spesso connotano il nostro ministero – o noi stessi lo definiamo – credo sia utile ribadire con forza che questo sacramento non è stato, non è e non sarà mai “un mestiere” con al centro “il fare”. Potrebbe certamente correre il rischio di diventarlo, ma questo pericolo andrà subito arginato con gli opportuni anticorpi: velocemente, direi, senza indugi, comprendendo e rimeditando giorno dopo giorno, nella preghiera, l’essenza di questo sacramento, il cui carattere permanente ti è stato impresso.

«Essere in»[1]

Carissimo don Andrea, tu hai acquistato con Cristo una relazione fondamentale: sei diventato partecipe del suo unico sacerdozio così che non lo rappresenti semplicemente o lo eserciti, ma lo vivi in Cristo. Sei in Cristo e Cristo vive in te. Questa è la mia terza parola!

Tu puoi dire, in quanto associato a Cristo in un grado così alto e così pieno alla sua missione di salvezza, quello che san Paolo diceva di se stesso: «Io vivo, ma non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me» (Gal 2,20). Questa realtà, tanto formidabile quanto vertiginosa, è tale da dischiudere la via ascensionale alla tua spiritualità, la più alta che sia aperta all’uomo e che arriva ai vertici della vita ascetica e mistica.

Se mai un giorno ti sentissi solo, se mai un giorno la tua fragilità reclamasse il suo posto, se mai un giorno ti capitasse di essere tentato a mandare all’aria tutto, carissimo don Andrea, ricordati che sei «per Cristo, con Cristo e in Cristo»! Che sei un «altro Cristo»! Anzi, che Cristo ha in te il suo vivo strumento; quindi, il suo ministro; perciò il suo interprete, poi, l’eco della sua voce; di più: sei il suo tabernacolo; sei il segno storico e sociale della sua presenza nell’umanità; sei il suo focolare ardente d’irradiazione del suo amore per gli uomini.

Ma questo prodigio comporta sempre un dovere, il primo e più dolce della tua vita sacerdotale: quello dell’intimità con Cristo nello Spirito Santo con il Padre (cfr. Gv16,27); quello, cioè, di una autentica e personale vita interiore, non solo gelosamente custodita nello stato di grazia, ma espressa volontariamente in un continuo atto di consapevolezza, di colloquio, di amorosa contemplativa sospensione, come dice bene san Gregorio Magno nella sua Regola pastorale.[2]

Ma non confondere mai questo, col rinchiuderti “in sacrestia”: non è più il tempo né di “altaristi” né di “abatini”. Saresti “fuori tempo”: la cosa peggiore che possa capitare ad un adulto.

Ecco perché «sei prete» e non «fai il prete»! Perché «sei in Cristo»!

«Essere per»

Solo questo tuo «essere in» Cristo ti consente di «essere per» il popolo a te affidato rappresentante di Cristo. È la quarta ed ultima parola.

Mi spiego meglio, carissimo don Andrea: l’essere rappresentante di Dio presso il popolo comporta che tu sia rappresentate del Popolo presso Dio, cioè, che tu sia un ministro della Chiesa e non “un libero battitore”.

Sant’Agostino diceva di sé: «con voi sono cristiano, per voi sono vescovo e prete».[3]Per ogni sacerdote questo «essere per» significa che la comunità cristiana può far conto su di lui. Questo «essere per» sarà fondamentale per la tua vita, don Andrea. Tu, carissimo, dovrai imparare a farlo, giorno dopo giorno, dicendo “c’è una Chiesa che può far conto su di me”. Occorre che tu, don Andrea, chieda insistentemente al Signore, che infonda in te il senso del popolo di Dio che rappresenti, che raccogli nel tuo cuore di consacrato alla salvezza del popolo santo di Dio; del popolo, che raduni in comunità ecclesiale; del popolo, che convochi intorno all’altare del Signore; del popolo, che interpreti nei suoi bisogni e nelle sue preghiere, nelle sue sofferenze e nelle sue speranze, nelle sue debolezze e nelle sue virtù. Tu, don Andrea, farai convergere in te, prete, le varie componenti della comunità cristiana: i bimbi e i ragazzi, le famiglie e i singoli, i poveri e gli ammalati, i lontani e gli avversari. Tu ne sei il cuore! Tu ne sei la voce! Tu ne sei l’espiazione! Tu ne sei la speranza! Ecco perché sei rappresentate del Popolo presso Dio.[4]

Questa si chiama carità pastorale! Come per ogni sacerdote, questo non è solo dedizione ad un sacramento, cioè un impulso del cuore, della mente o delle emozioni: è molto di più! È una vera e propria dedicazione, come l’ha definita il nostro vescovo Franco Giulio. È, infatti, la fedeltà che perdura alla prova del tempo; è la forma del volere e della scelta; è la forma stabile della libertà, perché la fedeltà è la forma matura della libertà; è, infine, la forma della fedeltà che libera ogni sacerdote dall’improvvisazione del momento, dai capricci dei sentimenti, dal dover inventarsi da capo ogni giorno, senza togliere per questo spazio alla scioltezza, alla libertà e alla generosità rinnovata.[5]

Buon Cammino

Buon cammino, don Andrea, ovunque il Signore per mezzo della Chiesa ti manderà. E ama sempre la Chiesa, come diceva il “nostro” cardinale Ugo Poletti, parroco di San Marino e poi vicario generale a Roma di tre papi santi: Paolo VI, Giovanni Paolo I e Giovanni Paolo II: la Chiesa, la diocesi «non è una macchina da far camminare, ma una famiglia da amare».[6]

Noi ti accompagniamo con la nostra preghiera e tu ricordaci all’altare del Signore.

Buon Cammino!

 

Padre Marco Canali

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[1]S. Paulus Pp. VI, Mediatori fra Dio e gli uomini (22 agosto 1968), In relazione con Cristo e la Chiesa (28 novembre 1972) e L’identità propria del sacerdote(20 febbraio 1971)in Paolo VI 100 Omelie, Teramo, Palumbi, pp. 197-205, passim.

[2]«Conteplatione suspensus»: cfr. S. Gregorio Magno, Regula pastoralis, I.

[3]S. Agostino, Discorso 340, nell’anniversario della sua ordinazione, passim.

[4]S. Paulus Pp. VI, Mediatori, In relazione e L’identità propria in Paolo VI 100 Omelie, pp. 197-205, passim.

[5]F.G. Brambilla, Lo stile del ministero nel cuore della prima icona della chiesa (1Tess 2,1-15),Boca, Santuario del Ss.mo Crocifisso 7 aprile 2014.

[6]Discorso pronunciato da S.E. Mons. Angelo De Donatis in occasione della nomina a Vicario Generale per la Diocesi di Roma, Roma, Palazzo Lateranense 26 maggio 2017.