Il dono della Comunione. Giovedì santo 2020
Miei cari,
questa sera, con la celebrazione della Messa nella Cena del Signore, entriamo nel Sacro Triduo, reso faticoso quest’anno a causa dell’epidemia in corso, che ci vede tutti quanti costretti in casa. Dal mio cuore, come penso dal vostro, sorge ancor più impetuoso il desiderio di Comunione, nel giorno in cui Cristo istituisce l’Eucarestia, che è Comunione con Lui e Comunione fra noi, la Sua Chiesa.
1.
La prima parola che mi viene da dirvi è: quanto ci manca la Comunione!
L’avevamo in essere e non ce ne siamo accorti. L’avevamo compiuta in famiglia e con gli amici e l’abbiamo data per scontata. L’avevamo nel Quartiere, nella Città, nella Scuola, nel Lavoro e l’abbiamo sentita come un fatto dovuto e, talora, subito… Ci voleva una pandemia come questa per farcene sentire l’importanza! Ma altrettanto questa sciagurata calamità ci mostra bene l’inefficacia dei surrogati della vera Comunione. Osserviamone le forme praticate, per esempio, sui social media: quante finzioni, quante maschere che alterano la realtà, quante polemiche sterili, quanta superficialità, “di pancia” più che di “buon senso” …
In questo giorno, in cui ci appaiono il volto luminoso, l’intrinseca profondità, l’efficacia spirituale della Comunione con Cristo, non possiamo che recuperarne la verità facendola nostra e convertendo i surrogati della vera Comunione in forme più buone che la vicinanza fisica, che la fraternità umana, che la carità cristiana saprà suggerirci.
Sarà sicuramente un grande e faticoso cammino di conversione: non illudiamoci che possa essere automatico. Occorrerà volerlo e praticarlo quotidianamente, con onestà di cuore e di sentimenti, con le virtù cardinali della giustizia, della prudenza, della fortezza e della temperanza; ma, ancor di più, con le virtù teologali, donateci nel Battesimo, la fede, la speranza e la carità, lasciando agire, sempre, in noi la Grazia di Dio con la Potenza dall’Alto (Virtus ex Alto), dono dello Spirito Santo.
2.
Dove trarremo la sorgente per fare ciò, perché abiti ed agisca in noi questa Potenza? Solo là dove essa sgorga, da quel mistero di Comunione che è il dono di sé, per eccellenza, quello di Dio in Gesù e quello di Gesù per la nostra umanità, sperduta ed errabonda.
Scrive, a questo proposito, l’evangelista Giovanni nell’evangelo che viene proclamato oggi: «Figlioli (così chiama noi discepoli!), ancora per poco sono con voi […] Io vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri, come(come: notate il paragone e notate la misura!), come Io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,33-35).
A ciascuno di noi, in quanto figliolo, questa Comunione, è donata gratuitamente da Gesù, senza nulla chiedere, senza nessuno ricattare, perché siamo figli e nessun Padre darà al figlio, che gli chiede un pane, una serpe (cfr. Lc 11,11).
Questa Comunione si riversa come rugiada refrigerante su tutti coloro che la cercano con cuore sincero, in misura sovrabbondante: lo sottolinea il come. Questo avverbio non è messo a caso. Ci avverte che non avremo mai amato abbastanza; ci avverte che la nostra professione di amore cristiano è ancora al principio; ci avverte che il precetto della carità contiene in sé sviluppi potenziali, che nessuna filantropia e che nessuna sociologia potrà mai eguagliare.
Ad incoraggiarci e, forse, a rimproverarci, piovono queste altre parole: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35).
L’amore, dunque, diviene il tratto distintivo Comunione cristiana.
Non vi sembra questa la Comunione di cui ciascuno è disperatamente alla ricerca? Non vi sembra questa la Comunionedi cui abbiamo bisogno per rifondare i nostri rapporti? Non vi sembra questa la Comunione che andiamo reclamando nella società, nella comunità nazionale e internazionale di fronte al pericolo che stiamo vivendo? Non vi sembra questa la Comunione che elima il pregiudizio, seda il rancore, toglie le differenze sociali? Non vi sembra questa la Comunione che costituisce la premessa di un’umanità nuova e che sempre si rinnova? Ma chi, più del Dio con il volto di Gesù Cristo, può esserne la fonte, quando molti idoli, che credevamo eterni e intoccabili, si sono dissolti?
3.
Entriamo ancora più profondamente nel mistero dell’ultima cena di Gesù con i suoi discepoli. È un’ora solenne per il suo significato, tale da formare la coscienza non solo degli apostoli, ma anche nostra. In quest’ora suprema della Cena, la Comunione assume il carattere di un testamento, nuovo ed eterno. Osserviamone i significati e le conseguenze.
È un Testamento.
È Gesù stesso che definisce quella Cena l’epilogo della sua vita terrena, dandole un carattere conclusivo, come dice la parola testamento, un atto unilaterale in cui si dispone di sé e delle proprie cose.
«Prima della festa di Pasqua – sottolinea l’evangelista Giovanni – Gesù, sapendo ch’era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo d’aver amato i suoi ch’erano nel mondo, li amò sino alla fine» (Gv 13,1).
Che cosa significa la parola fine? Fino alla fine di ogni concepibile misura, a cui solo il Cuore di Gesù poteva arrivare; fino a dare se stesso con la totalità che il vero amore esige e con l’effusione che solo l’amore divino può concepire e può attuare; infatti, «nessuno ha un amore più grande di questo, di uno che dia la vita per i suoi amici» (Gv 15,13).
Dunque, amare per Gesù vuol dire dare e dare significa amare, perché dare nell’amore divino è dare tutto, senza trattenere nulla; è dare la vita, per farla fruttificare. Ecco la linea dell’amore divino ed eccone il termine ultimo ed unico.
Ma questo testamento è anche Nuovo.
È Gesù a definirne la novità nella lavanda dei piedi, la grande assente, che non possiamo fare quest’anno per le norme igienico-sanitarie imposte.
«Gesù – scrive l’evangelista Giovanni – si alzò da tavola, depose le vesti, prese un asciugamano e se lo cinse attorno alla vita. Poi versò dell’acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l’asciugamano di cui si era cinto» (Gv 13,4-5).
Gesù, che si è definito il Maestro e il Signore, non esita ad inginocchiarsi davanti agli Apostoli per lavare loro i piedi.
È necessaria questa lavanda dei piedi e questa purificazione di fronte alla Comunione, alla quale gli Apostoli (e noi con loro) avrebbero partecipato.
Ma pure Gesù stesso mostra di umiliarsi ai loro piedi: è un gesto che dice tanto di Lui, perché da quel momento in poi, facendosi pane nella Comunione eucaristica, Gesù continua ad abbassarsi al livello di tanti cuori umani, servendoli sempre in questo modo.
“Eucaristia” è, così, anche “servizio” verso ogni uomo, tanche che non possiamo essere dispensatori della Comunione,se non servendo: «Vi ho dato infatti l’esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi» (Gv 13,15).
Infine, questo testamento nuovo è anche Eterno.
Scrive l’evangelista Matteo: «Mentre essi cenavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: prendete e mangiate, questo è il mio corpo. Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro dicendo: bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati» (Mt 26,26-28).
In queste parole, la Chiesa ribadisce la Comunione con Gesù, che è Sacerdote e Vittima di un Sacrificio consumato in modo cruento sulla Croce, incruento nella Messa, vertice della nostra vita di fede, dove Egli, mediante la sua parola sacramentale trasforma i semplici segni sensibili del pane e del vino nella sostanza nella sua carne e nel suo sangue.
Così facendo ristabilisce la Comunione fra gli uomini vivi e defunti con Dio Padre misericordioso.
Ma questa Comunione diventa pure partecipazione alla Vita stessa di Cristo, che è Lui stesso la Vita Eterna (Gv 14,6).
Di più.
È Comunione che permane nel tempo ed entra nell’eternità, perché questo miracolo eucaristico è destinato a durare finché Egli, Cristo, ritorni nella gloria (1 Cor 11,26).
Ebbene di fronte a tutto ciò, quanta pena credo sia in me e in voi nel non poter partecipare alla Messa!
Era un atto scontato per alcuni; un atto celebrato in alcuni momenti per altri; un atto soppresso da molti.
Questa Comunione eucaristica l’avevamo e non ne abbiamo compreso non solo l’importanza ma anche il bisogno, che spinse gli antichi cristiani di Abitene, nonostante le minacce dei persecutori, a dire sine Dominico non possumus, senza l’Eucarestia domenicale non possiamo vivere!
Ecco questa Comunione eucaristica dovremo recuperare, ma come scrivevo poco prima, neanche questa sarà automatica, dopo il tempo della pandemia. Sarà, invece, il frutto del nostro desiderio, delle nostre arsure, delle nostre fatiche quotidiane e settimanali.
Miei cari, vi invito tutti quanti ad invocare con me, insieme, il dono della Comunione in questo santo giorno, così come viene ad essere configurato nel Nuovo ed Eterno Testamento di Cristo. Egli, che Mediatore fra Dio e gli uomini, fra il Cielo e la Terra, ce lo ottenga.
Con affetto paterno, abbraccio tutti voi e tutti voi benedico di cuore,
Vostro padre Marco
Novara, 9 aprile 2020, In Coena Domini