Mistero di Comunione. Omelia per la solennità della Ss.ma Trinità 2020
1.
La domenica che segue la solennità della Pentecoste è la più singolare tra le celebrazioni liturgiche, perché ad essere ricordato non un fatto della vita di Cristo, ma ricorda il primo mistero della nostra fede, che a catechismo abbiamo imparato: Unità e Trinità di Dio.
Quest’anno scelgo di commentarvi questa solennità con le parole del saluto liturgico che ho fatto all’inizio di questa messa, che è desunto dalla seconda lettura di oggi, tratta seconda lettera ai Corinzi dell’apostolo Paolo (2Cor 13,11-13). Le parole, così usurate per la loro ripetitività, passano spesso inosservate a noi tutti, ma contengono la rivelazione del fondamento della nostra fede cristiana, senza il quale non potremmo dirci tali. «La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio [Padre] e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi» (2Cor 13,13). Vediamo il significato.
2.
«La grazia del Signore Gesù Cristo» corrisponde al dono della nuova vita e della salvezza di cui Gesù rende partecipi coloro che credono in Lui. In questo è riassunto il mistero della nostra salvezza. Il Figlio, che ama profondamente il Padre, non esita a compiere la missione che il Padre gli affida a favore di ogni uomo. Non teme, come l’uomo, Dio quasi fosse un avversario di cui avere paura, ma obbedisce a Lui, perché non solo si sente amato e corrisposto ma ha visto l’identità profonda di Dio, ricco di amore. Il Figlio, perciò, non considera la sua uguaglianza al Padre un privilegio da non perdere mai, ma, dovendo vivere come noi per salvarci, non esita ad annichilirsi e a svuotare se stesso, e si fa obbediente fino alla morte e alla morte di Croce (cfr. Fil 2, 6-9).
3.
Con questa sua vita e con questa sua morte ha compiuto la nostra redenzione, svelandoci il vero volto del Padre, un volto pieno di amore. È la seconda delle espressioni che san Paolo usa: «l’amore di Dio Padre». Infatti, come ci ricorda l’evangelo di oggi «Dio [cioè il Padre] ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito» (Gv 3,16). In queste parole c’è il grande atto compiuto da Dio Padre, che sta all’origine di tutte le cose. Egli «ha mandato il Figlio nel mondo» cioè lo ha donato «perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16). Dio Padre, dunque, ha nel suo cuore un grande desiderio: rendere partecipi ciascuno di noi della sua stessa vita, la vita eterna. L’amore di Dio è dunque l’amore che si è espresso nel dono del Figlio unigenito, Gesù. Per salvarci Dio non ha esitato a dare la persona più preziosa che aveva per sancire la nostra salvezza. E il Figlio, consapevole di questo amore, non ha risparmiato se stesso.
4.
Vengo così alla terza ed ultima parte del saluto liturgico che descrive l’azione dello Spirito Santo: «la comunione», sulla quale mi soffermo di più. La comunione dello Spirito Santo è la partecipazione piena al legame di amore che unisce il Padre e il Figlio. Questa comunione fa sì che non siamo più estranei a quanto ha detto e fatto Gesù. A questo riguardo mi premono alcune sottolineature, che ho tratto dalla “Rivista del clero italiano” (4, aprile 2020) e che affido alla vostra meditazione distesa lungo la settimana. «L’uomo è fatto per la comunione: si realizza nel dialogo e si aliena nella solitudine. Nell’uomo l’esigenza della comunione è prepotente. Ma nonostante questo, la storia testimonia che nell’uomo può prevalere la tentazione contraria. L’uomo spesso non dialoga: c’è un parlare che si apre all’ascolto e c’è un parlare che si chiude all’ascolto, c’è un parlare alla pari (nella libertà, nel rispetto dell’altro) e c’è un parlare che pretende di imporsi, c’è un parlare che unisce e c’è un parlare che divide».
La Chiesa è il luogo abitato prepotentemente da questa dimensione. Il Concilio ne indica con molta precisione il compito, definendola «segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (Lumen Gentium n. 1). Ma questa comunione non è mai un possesso acquisito «è, invece, una continua e rinnovata vittoria sul peccato, sempre in agguato. La comunione è un miracolo che si può solo chiedere come dono, umilmente, ed esige conversione e vigilanza».
Quali sono le condizioni in cui essa può realizzarsi ad opera dello Spirito? Sono almeno quattro.
A.
La prima è lo spirito di servizio. «Se uno vuole essere il primo, si consideri l’ultimo di tutti e si faccia il servo di tutti». Questo termine è assai logorato, ma il Vangelo ne custodisce l’essenza: esso «nasce dal cuore dell’esistenza e coinvolge tutta la persona e tutta la vita, e non soltanto qualcosa. Questo lo sappiamo molto bene. Non basta ‘mettere a servizio’ qualcosa di noi (del nostro tempo, delle nostre cose, del nostro lavoro), ma tutto ciò che si ama e tutto ciò che abbiamo. Farsi servo indica anzitutto un modo di vivere, una visione delle cose, non anzitutto qualcosa da fare Non è concesso scegliere chi servire, alcuni sì altri no, ma tutti senza eccezioni. Se c’è un criterio di priorità è unicamente per i bisognosi».
B.
La seconda condizione per la comunione è l’accoglienza sulla base dell’affermazione radicale di Gesù: «Chi accoglie uno di questi piccoli nel mio nome». «È richiesta ai credenti la capacità di lasciarsi ‘sconvolgere’ (nelle proprie abitudini e nei propri schemi) dal piccolo che si accoglie, e la capacità di porsi al suo servizio. Questo non soltanto nel senso che il singolo deve lasciarsi sconvolgere nei suoi schemi personali per le esigenze comunitarie (della propria comunità), ma anche nel senso che la comunità come tale deve lasciarsi sconvolgere nei propri schemi per servire le esigenze di Dio e dei fratelli. Ogni volta che si accoglie un piccolo nel suo nome (che significa accogliere come Gesù ha accolto, con il suo coraggio e la sua generosità, senza secondi fini) si accoglie il Cristo e il Padre».
C.
La terza condizione della comunione è il superamento dell’integrismo. «Ci sono comunità – cristiane e religiose – che non sopportano che lo Spirito soffi dove vuole: ne sono gelosi e si sentono traditi nella loro pretesa di essere gli unici testimoni della verità e della giustizia. Vorrebbero che la potenza di Dio passasse solo attraverso le loro mani e le loro idee. Non riconoscono il bene e gli sforzi che avvengono da altre parti. Non amano il bene e la giustizia, ma se stessi. Gli autentici amici di Dio invece godono della liberalità dello Spirito e riconoscono le sue manifestazioni, dovunque esse avvengano: riconoscono il bene dovunque esso venga fatto, e ne godono».
D.
Infine, la quarta condizione della comunione è il rispetto delle coscienze.
«C’è scandalo e scandalo. C’è una “durezza” nella fede e nella verità e nelle esigenze della giustizia, scandalo per molti, ma che non per questo si deve tacere o nascondere o addolcire: la si deve, anzi, proclamare apertamente, come una sfida. Così ha fatto Gesù … Si può essere di ostacolo alla fede dei semplici, e alla libertà della loro coscienza, in molti modi: con discussioni che turbano, con riforme intempestive, con una pastorale che li trascura. Su tutti questi operatori di scandalo pesa un giudizio fra i più severi dell’intero vangelo: “È meglio essere gettati nel mare con un sasso al collo”. Al fondo di questo scandalo ci sono due radici profondamente errate: il non rispetto della coscienza dei ‘piccoli’, e quindi delle loro possibilità e dei loro tempi di maturazione; la convinzione che i piccoli, appunto perché tali, non contino. Al contrario sono quelli che nel Regno di Dio contano di più».
5.
Lo Spirito, cha abbiamo invocato la scorsa domenica nella Pentecoste, ci guida come maestro interiore in questo mistero di salvezza.
Concludo con una delle preghiere che la liturgia ha prescritto per questo giorno:
«Padre, fedele e misericordioso, che ci hai rivelato il mistero della tua vita donandoci il Figlio unigenito e lo Spirito di amore, sostieni la nostra fede e ispiraci sentimenti di pace e di speranza, perché riuniti nella comunione della tua Chiesa benediciamo il tuo nome glorioso e santo»