La Pazienza di Dio e le nostre resistenze. Omelia per la 16ma domenica del tempo Ordinario.

Miei Cari,
Vi commento la prima delle tre parabole, proclamate nell’evangelo di oggi (Mt 13,24-43), tornando anche in questa domenica a parlare di semina.
Se la scorsa settimana abbiamo visto come il seme, che è la Parola di Dio, venga sparsa in ogni dove, generando, per la larghezza d’animo del Seminatore-Dio, frutti di vita e di speranza, non abbiamo taciuto che, spesso, alle attese di Dio non corrispondono risultati positivi, soprattutto perché vi sono momenti nella vita di ogni cristiano che si frappongono a questi esiti (Mt 13,1-23). Se ricordate ancora, i tre terreni cattivi ove può cadere il seme – la strada, le spine, i sassi –, non consentono, infatti, alla seminagione di portare buon frutto, ma muoiono sul nascere per l’incapacità del cuore umano di accogliere la Parola (Mt 13,4-7).
Oggi continuiamo sullo stesso registro, vedendo però che cosa avviene, quando il seme cade su un terreno buono – evidenzio “buono” – destinato, dunque, a produrre per sua natura ora il cento, ora il sessanta, ora il trenta per uno. Sembrerebbe andare tutto liscio. E, invece, no! Infatti, Gesù dice chiaramente che, una volta seminato il seme su un terreno che ha tutte le caratteristiche atte ad accoglierlo e a farlo fruttificare, può capitare che lo stesso terreno sia invaso dalla zizzania, simile al grano, che tende ad oscurare il buon frutto: «Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania» (Mt 13,25-26).

1.     La prima reazione: l’irritazione di fronte al male e la frustrazione del cristiano
Quale è dunque il risultato? La confusione fra il buon grano e la cattiva zizzania? A prima vista sì, Infatti, di primo acchito ad emergere dalla parabola sia l’irritazione di chi vede tutto questo male che si diffonde nel bene e rischia di offuscarlo, intercettando di conseguenza anche la speranza per chi vede maturare un buon raccolto. Perciò sembrerebbe che ogni sforzo volto al bene sia continuamente vanificato; sembrerebbe, per fare un esempio, che il debole soccomba al più forte e quest’ultimo prevalga in questo mondo. Da qui, la domanda imperiosa nel cuore di ciascuno: ma, allora, a che serve seminare bene, se poi alla fine si è fregati sul più bello? Ma questa prima impressione, che potremmo definire irritazione o frustrazione non è che solo il rovescio della medaglia. Tanto che Gesù si affretta ad intercettarla e ad impedire ogni risposta di pancia contro questo male imperante, come Egli stesso ci dice nel Vangelo odierno: «Signore, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene la zizzania? Ed egli rispose loro: Un nemico ha fatto questo! E i servi gli dissero: Vuoi che andiamo a raccoglierla? No, rispose, perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano» (Mt 13,27-30)

2.    La constatazione:  la presenza del Male in questo mondo
Con questa risposta, Gesù vuole spiegarci con il linguaggio tipico della parabola che, in questo mondo, il bene e il male sono talmente intrecciati, che è impossibile separarli ed estirpare totalmente il male, senza nuocere anche al bene. Come infatti, calza bene nell’esempio che grano e zizzania apparentemente sono simili, ma non uguali. Il Signore, che è la Sapienza incarnata, oggi ci aiuta a comprendere che il bene e il male non si possono identificare con territori definiti o determinati gruppi umani. Egli ci dice che la linea di confine tra il bene e il male passa nel cuore di ogni persona. Notate, poi, che ci vien detto come il male abbia origine da un “Nemico” («Un nemico ha fatto questo!») e non dal “Seminatore”, ma non venga detto di più, se non per noi la sola constatazione che il presente, con le sue ambiguità e il suo carattere composito, sia il campo della libertà, in cui si compie il difficile esercizio del discernimento fra il bene e il male. Se rammentate, è quello che già si diceva domenica scorsa: a ciascun cristiano tocca il compito di invocare l’aiuto del Maestro Interiore, lo Spirito Santo, per eliminare tutti gli ostacoli atti ad essere un terreno buono, che accoglie la Parola di Dio.

3.     Alla radice del significato della parabola: la Pazienza di Dio
C’è poi un terzo elemento da considerare che Gesù si propone di mettere in luce di fronte alla giusta riprovazione del male ed è costituito dalla pazienza di Dio, che è tale non solo nei confronti dell’intera creazione, ma soprattutto con ciascuno di noi, poiché consente che ognuno nella propria esistenza  abbia il tempo di far maturare ciò che di buono Dio ha seminato nel suo cuori. Questo è il diritto della medaglia. Dio attende, quale padre premuroso, che ognuna delle sue creature viva, fino all’ultimo istante, con la certezza che nulla andrà perduto, essendo ciascuno di noi consapevole e sicuro della fiducia che Dio ripone realmente nei suoi confronti. Ma altrettanto che nessuno si senta così al sicuro dall’eventuale rischio che la sua vita non vada alla deriva. In altre parole: siamo tutti peccatori. Infatti, Gesù ci dice in un altro passo evangelico: “Chi non è peccatore alzi la mano”. Quasi a dirci: guarda, uomo, che se non stai attento può crescere la zizzania dentro di te, perché il presente è il campo delle libertà e nessuno, proprio per questo è al sicuro una volta per sempre. Poi, ancora: guardati dal non puntare il dito contro chicchessia: solo Dio può fare questo! E lo farà sicuramente nel giudizio finale, come dice Gesù, nella parabola di oggi: «Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio» (Mt 13,30).

4.     Il modo cristiano di operare verso il bene: i rimedi sacramentali al Male
Che fare allora, finché viviamo? Si tratta dunque di congiungere, alla grande fiducia in Dio e nella Sua provvidenza, anzitutto due atteggiamenti previ: la decisione e la pazienza.
La decisione è quella di voler essere buon terreno atto ad accogliere il seme, prendendo non solo le distanze dal maligno e dalle sue seduzioni, guardando così anzitutto al male che c’è anche in noi e non soltanto fuori di noi. Se prevalesse soltanto quest’ultimo atteggiamento sarebbe un grandissimo pericolo. Gesù lo dichiara in un altro passo evangelico: guarda prima la trave che è nel tuo occhio, poi la pagliuzza che è in quello di tuo fratello. La pazienza, invece, rappresenta in seconda battuta la preferenza di una Chiesa che è lievito nella pasta, che non teme di sporcarsi le mani lavando i panni dei suoi figli, piuttosto che una Chiesa di “puri”, che pretende di giudicare prima del tempo chi sta nel Regno di Dio e chi no. In questi due atteggiamenti c’è la nitida certezza che Gesù Cristo, con la sua morte in croce e la sua risurrezione, ci ha liberato dalla schiavitù del peccato e ci dà la grazia di camminare in una vita nuova, acquisita nel Battesimo, ma pure ci ha donato anche la Confessione, perché abbiamo sempre bisogno di essere perdonati dai nostri peccati.
Gesù, dunque, ci insegna un modo diverso di guardare il campo del mondo e di osservare la realtà. Siamo chiamati a imparare i tempi di Dio – che non sono i nostri tempi – e anche lo “sguardo” di Dio – che non è il nostro -. Infatti, grazie all’influsso benefico di una trepidante attesa, ciò che era zizzania o sembrava zizzania, potrebbe diventare un prodotto buono: si chiama conversione, che diviene la vera prospettiva della speranza cristiana.
Ci aiuti la Vergine Maria, che in questa settimana abbiamo onorato come Regina del Carmelo, a cogliere nella realtà che ci circonda non soltanto la sporcizia e il male, ma anche il bene e il bello; a smascherare l’opera di Satana, ma soprattutto a confidare nell’azione di Dio che feconda la storia.
Buona domenica e buona settimana!
Padre Marco