“L’inizio”. Omelia per la seconda domenica di Avvento

Miei cari,
oggi c’è una parola che determina lo svolgersi degli eventi, “inizio“, precisata immediatamente da tre complementi di specificazione, “del Vangelo di Gesù Cristo”, “della Consolazione”, “della Vita nuova”, accompagnati, infine, da un verbo di movimento interiore, che indica l’irrompere della venuta di Cristo in tre ambiti: “nella storia”, nella vicenda di un popolo”, “nella vita di ogni uomo e donna”.
Osserviamoli.

Inizio del Vangelo di Gesù Cristo
L’esordio del brano evangelico odierno secondo Marco, sebbene sintetico, è piuttosto chiaro e netto: «Inizio del vangelo di Gesù, Cristo, Figlio di Dio» (Mc 1,1).

In questa semplice frase è contenuto tutto quanto l’evangelista Marco svilupperà successivamente nei capitoli che seguiranno. Marco attesta, infatti, che l’ «Inizio» di tutto, ossia “il fondamento saldo su cui erigere la propria esistenza”, è costituito dall’«Evangelo», che altro non è che “la buona notizia”, cioè «Gesù» che significa “Dio salva”, in quanto il «Cristo», ossia “l’Unto”, “il Messia promesso”, è “l’unico Mediatore tra Dio e gli uomini”, proprio poiché Egli è «il Figlio di Dio», ovvero “Dio stesso fattosi uomo per la nostra salvezza”.
In estrema sintesi, dunque, l’evangelista Marco, aprendo il suo racconto, altro non fa che una solenne professione di fede in Gesù Cristo. Il Vangelo si concluderà con l’analoga affermazione iniziale, pronunciata, questa volta, dal centurione romano che, sotto la croce, «avendolo visto spirare in quel modo, disse: Davvero quest’uomo era Figlio di Dio!» (Mc15,39), chiudendo così in un movimento circolare che ci riporta all’inizio della narrazione marciana. È l’annuncio della salvezza che, da Israele si estende, proprio per quella morte redentrice, a tutti i popoli della terra. Poche parole, dunque, ma che – come ben si nota – contengono il messaggio fondamentale della Salvezza, la buona Notizia, che la Chiesa custodisce da XXI secoli e che offre ad ogni uomo e a ogni donna, che vogliano conseguire la vera felicità, che è partecipazione al Regno di Dio, una signoria d’Amore, di Gioia, di Felicità senza fine.

Inizio della Consolazione
A queste prima professione di fede in Gesù Cristo, l’evangelista Marco fa seguire una citazione del profeta Isaia.
L’abbiamo ascoltata integralmente nella prima lettura di oggi, che si apre con parole di speranza: «Consolate, consolate il mio popolo – dice il vostro Dio. Parlate al cuore di Gerusalemme e gridatele che la sua tribolazione è compiuta, la sua colpa è scontata, perché ha ricevuto dalla mano del Signore il doppio per tutti i suoi peccati» (Is 40,1-2).

È anch’essa un inizio, il secondo, non solo perché è posto come apertura dell’antica profezia, ma perché per il popolo d’Israele, dopo l’esperienza umiliante e purificatrice dell’esilio babilonese, ritorna alla terra promessa, così che il profeta Isaia riversa sul popolo eletto e amato da Dio, come olio di conforto, parole piene di speranza, che abbiamo ascoltato nella prima lettura di oggi. L’evangelista Marco, che salta questa prima parte, cita le profezie immediatamente seguenti, affinché si realizzino le condizioni per cui la professione di fede in Gesù il Cristo, il Figlio di Dio, abbia fecondità nel cuore di tutti coloro che leggeranno il suo testo. Chiarisce fin da subito i presupposti, attraverso le quali il Vangelo possa essere veramente segno di consolazione e di sicura speranza, pietra angolare della vita di ogni credente. Così esclama: «Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero: egli preparerà la tua via. Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri» (Mc 1,2-3; Is 40, 3). È singolare, però, che una voce si levi nel deserto, luogo inospitale, privo di vita, carente della presenza degli uomini. Chi mai, infatti, la potrà ascoltare nel suo levarsi, dal momento che, apparentemente, non c’è nessuno che l’ascolti? Eppure, diventa ancora più insolito che questa voce, che grida in questo spazio disagevole sia effettivamente il messaggero della consolazione che, abitando queste regioni ostili alla vita, sia capace di attirare a sé una moltitudine di uomini e donne alla ricerca della Verità e del senso dell’esistenza. Infatti, prosegue l’evangelista, «accorrevano a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati» (Mc 1,5). È solo il deserto che, grazie alle sue caratteristiche di essenzialità ed inospitalità, consente, che chi vi giunge, si debba spogliare di ogni vanità e debba ridursi all’essenziale per sopravvivere ai rigori del luogo. È solo il deserto che, grazie al vuoto che lo abita, ha la capacità di far tacere ogni voce deviante che ciascuno porta con sé e che consenta a ciascuno di aprirsi all’unica che risuona. Non fu, forse, così per Israele nei quarant’anni di peregrinazione nel deserto, come ricorda un noto passo della Scrittura? «Il Signore, vostro Dio, … nel deserto, …, ti ha portato, come un uomo porta il proprio figlio, per tutto il cammino che avete fatto, finché siete arrivati qui» (Dt 1, 31-32). Sarà così per ogni uomo e donna che, passando attraverso la prova di questa purificazione, a giungere all’essenziale, dando inizio alla vita nuova in Cristo.

Inizio della vita nuova
Veniamo così al terzo inizio che è specificato dall’evangelista Marco: «vi fu Giovanni, che battezzava nel deserto e proclamava un battesimo di conversione per il perdono dei peccati» (Mc 1,4).
In che cosa consiste questo «battesimo di conversione»? Lo ascoltiamo ancora in parte dalle parole della prima lettura di oggi: «preparate la via al Signore» (Is 40,3). Notiamo che se il soggetto che compie l’azione sono i credenti, l’oggetto di questa trasformazione è «la via del Signore». Essa è già tracciata, è retta e conduce a Dio. Ciò che va cambiato, invece, è il nostro modo di accedervi. Come si chiarisce in un altro passo di Isaia: «i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie» (Is 55,8). Quello che non va in noi va cambiato e adeguato nell’ottica di Dio, il quale, come abbiamo ricordato più volte in queste domeniche, non è un avversario contro cui combattere o un antagonista della nostra esistenza o un nemico che gioca un gioco sporco. Al contrario Dio è un pastore – come ancora sottolinea il profeta Isaia – che «fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri» (Is 40,11). Quindi Isaia continua: «Ogni valle sia innalzata, ogni monte e ogni colle siano abbassati; il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in vallata» (Is 40,4). Le valli da innalzare rappresentano tutti i vuoti del nostro comportamento davanti a Dio, tutti i nostri peccati di omissione. I monti e i colli che devono essere abbassati sono l’orgoglio, la superbia, la prepotenza. Poi ci viene chiesto di eliminare tutti gli ostacoli che mettiamo alla nostra unione con il Signore: «Il terreno accidentato si trasformi in piano e quello scosceso in vallata. Allora si rivelerà la gloria del Signore – dice Isaia – e tutti gli uomini insieme la vedranno» (Is 40,4-5). Tutte queste azioni però vanno compiute con gioia, perché sono finalizzate alla preparazione dell’arrivo di Gesù. Giovanni, la voce nel deserto che riduce tutto all’essenziale, ha il semplice compito di richiamarci a questo atteggiamento, facendoci consapevoli che un altro verrà dopo di lui che, invece, «vi battezzerà in Spirito Santo» (Mc 1,7). Il Salvatore che aspettiamo è capace di trasformare la nostra vita con la sua grazia, con la forza dello Spirito Santo, con la forza dell’amore. Lo Spirito Santo, infatti, effonde nei nostri cuori l’amore di Dio, fonte inesauribile di purificazione, di vita nuova e di libertà.

Buona domenica!
Padre Marco