Le fasce del Natale. Omelia per la notte di Natale

«La madre diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio» (Lc 2,7).

Miei cari,
mi sono lasciato ispirare da questo versetto del Vangelo che si proclama in questa notte santa sottolineandone solo un aspetto, quello legato alle fasce.

Nelle fasce, il segno dell’amore
Queste fasce sono, anzitutto, l’espressione dell’amore.
Maria riveste di questo indumento essenziale il suo piccolo con la stessa cura affettuosa, con la quale ogni madre ricopre il suo bambino all’atto della nascita. Senza questo atto, così scontato ma così importante, tanti bambini che vengono alla luce in ogni parte della terra, non sarebbero in grado di sopravvivere. Le fasce raccontano così la prima sollecitudine protettiva che, assieme a Giuseppe, la Vergine presta a Gesù, perché potesse sentirsi da subito al sicuro, accolto e curato. Come figlio dell’uomo, è ricoperto di fasce; come qualsiasi altro neonato è fragile, inerme, indifeso. Deve essere accudito e curato. Questo neonato non è abbandonato né tantomeno trascurato. Al contrario. Le fasce diventano ai nostri occhi il primo servizio affettuoso di Maria e di Giuseppe, reso a Gesù, il Figlio dell’Altissimo, per il quale già al suo venire alla luce – Lui che era la Luce del Mondo che splende nelle tenebre – «non c’era posto nell’alloggio». Questo ministero, così semplice e così umile, così naturale e così spontaneo, permette a Gesù, il Figlio di Dio, di crescere progressivamente «in sapienza, età e grazia, davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2,52).

Nelle fasce, il segno dell’umanità
Queste fasce rappresentano anche il primo segno evidente dell’umanità di Dio che, fattosi bambino, ha voluto manifestare.
Dio, che si fa carne e diventa uomo, ha avuto bisogno come uomo – pur essendo il Figlio di Dio – di una sollecitudine lo soccorresse nei primi istanti del suo ingresso nella vita terrena. Nel farsi bambino, Dio si è fatto piccolo e, al contempo, si è fatto tanto vicino a noi, perché lo potessimo riconoscere non in ambienti solenni o in ambiti formali. Al contrario Dio ha mostrato la sua naturale propensione all’incontro con tutta quanta l’umanità per entrare in una relazione profonda e accessibile. Senza questo gesto così disarmante, noi, poveri uomini, viandanti per le strade impervie della nostra caducità; mendicanti di amore e di accoglienza, in perenne ricerca del senso della vita, saremmo ancor più estranei a noi stessi.

Nelle fasce, il segno della mortalità
Queste fasce rappresentano anche il segno della mortalità del Figlio dell’Altissimo.
In esse la Chiesa ha sempre intravisto la silenziosa profezia delle fasce che avvolgeranno l’uomo deposto dalla croce e adagiato nel sepolcro a quello che poteva sembrare l’epilogo della sua vicenda terrena. A Maria, dunque, toccò il compito al suo nascere di avvolgerlo «in fasce» (Lc 2,7), a Giuseppe di Arimatea invece quello di avvolgerlo «in un lenzuolo». Nelle fasce troviamo, dunque, l’inizio e l’epilogo di una cura amorosa nei confronti di Gesù da parte dell’umanità alla ricerca di Dio. Entrambe le fasce, quelle della nascita e quelle della morte, paiono chiamarsi, esigersi, spiegarsi l’un l’altra. Il Messia di Dio, una volta vestita seriamente la carne assume – e non apparentemente – anche la morte. A Natale il segno esterno ed evidente di umanità è rappresentato da queste fasce che avvolgono il corpo di un bimbo che chiede amore. A Pasqua queste fasce saranno da noi viste, ormai svolte e abbandonate, perché l’uomo della Croce è risorto e dona lui stesso quell’amore sconfinato di cui fu fatto al suo nascere partecipe.

Nelle fasce, il segno della nostra missione
Queste fasce sono, infine, il segno della nostra missione.
È giunto il tempo, più che mai evidente, che ciascuno, in questa pandemia e dopo questo evento tragico, non cessi di guardare a queste fasce, traendone la missione di cui far partecipe ogni uomo e ogni donna che incontra in questa vita.
Ciascuno di noi è chiamato ad eccedere nell’amore.
Ciascuno di noi è chiamato a perdere tempo nella quotidianità dei rapporti con gli altri.
Ciascuno di noi è chiamato a dissolvere la tenebra che non consente più di vedere, nelle persone che lo circondano, fratelli, sorelle, madri, padri, figli, figlie.
Ciascuno di noi è chiamato da queste fasce a mettere a proprio agio tutti.
Ciascuno di noi è chiamato ad avere la forza di cicatrizzare le ferite.
Ciascuno di noi è chiamato a placare le invocazioni di dolore.
Ciascuno di noi è chiamato ogni giorno dell’anno che si apre ad un lavoro nascosto, laborioso, e continuo per la ricostruzione che si prospetta.
Ciascuno è chiamato ad avvolgersi e ad avvolgere di fasce ogni uomo e ogni donna che incontra nel suo quotidiano.

Nelle fasce, il segno della gloria di Dio
Se i pastori, a cui è recato il primo annunzio del Natale dalla moltitudine celeste, furono avvolti da fasce di luce intensa, che permise loro di riconoscere nel bimbo deposto nella mangiatoia, il Figlio dell’Altissimo … Se i discepoli, a cui fu recato il lieto annunzio della Resurrezione, furono avvolti anch’essi dalle stesse fasce di luce che diradavano le tenebre dell’incertezza sulla sorte del Crocifisso e lo videro Risorto, anche a noi toccherà questa sorte nel segno di queste fasce.
Esse diventano il segno della gloria di Dio che si manifesta e ci avvolge di luce.
La gloria di Dio non è un segno che abbaglia!
La gloria di Dio è il segno dell’Amore che Dio riserva ad uomo e ad ogni donna che lo cerca con cuore sincero.
Questa gloria non costringe ma affranca!
Questa gloria non obbliga, ma libera!
Questa gloria non si impone, ma si propone.
Non sottraiamoci a questa gloria nelle fasce, perché, senza queste fasce ignoreremmo la cura dell’inerme, trascureremmo la mano che chiede, minimizzeremmo le energie per l’indifeso, limiteremmo i beni per chi implora di essere curato, accudito, accolto.
In quelle fasce accolte da noi e fatte nostre come missione contempleremo di nuovo e ogni giorno in noi e negli altri la gloria dell’Altissimo, che risplende in fondo al tunnel della nostra povera vita.
Buon Natale
Padre Marco