Agognate
Agognate, così come Obbiate, Camiano ed altri borghi simili, oggi quasi disabitati, era stata un’antica villa romana, abitata fin da tempi remotissimi. Il suo nome compare in numerosi atti, il più antico dei quali è datato 19 febbraio 840, giorno in cui il Vescovo di Novara, Adalgiso, legò alcune decime di Agognate alla chiesa maggiore di Santa Maria.
All’epoca della visita pastorale del vescovo Carlo Bescapè, avvenuta il 5 maggio 1597, esisteva in Agognate una chiesuola così “piccola ed angusta che non capiva (conteneva) la metà del popolo”. Di essa oggi rimane ben poca cosa: solo, nella parte posteriore del nuovo coro, un’abside a tazza interamente dipinta, di scuola novarese del quattrocento, da cui emergono le figure del Cristo e della Vergine.
La chiesa attuale, dedicata a San Gaudenzio, venne principiata nel 1699, per iniziativa del Parroco don Giuseppe Antonio Lucino che morì nel 1705 lasciando al fratello don Carlo Saverio Lucino, che gli succedette nella cura, il compito di portarla a termine, come fece, nel 1729. Nel 1747 il popolo di Agognate venne alla determinazione di costruire una sacrestia più rispondente ai nuovi bisogni e nello stile della nuova chiesa. Nello stesso anno si decise pure di erigere, davanti alla facciata della chiesa, un portichetto, come ancora oggi si può vedere. Ma facciamo un passo indietro e torniamo al 14 aprile del 1715 “nel qual giorno si è di novo dato principio a stabilire una Capella alla parte del cimitero dove si è posto il quadro di Santo Urbico col deposito del medesimo Santo, che era all’altar vecchio (cioè della vecchia chiesa)”. Veniamo così a sapere che l’urna contenente le reliquie di Santo Urbico si trovava ad Agognate da prima che la nuova chiesa venisse costruita.
Le catacombe a Roma, luogo di provenienza del martire Urbico
Ma chi era questo Santo e come era finito ad Agognate?
Da sempre l’uomo ha riservato una notevole parte della propria spiritualità al culto dei morti e, in special modo, alla preservazione dei cadaveri dalla profanazione di animali o di altri uomini. Il modo che i primi cristiani di Roma utilizzarono per seppellire i propri morti fu quello di adagiare i cadaveri in nicchie scavate all’interno delle catacombe. Questo termine, che significa “presso le grotte”, originariamente designava solo l’avvallamento della Via Appia compreso tra l’attuale chiesa di san Sebastiano e la tomba di Cecilia Metella. In questa zona si trova uno dei più importanti cimiteri cristiani di Roma, datato tra il I e il IV secolo dopo Cristo.
Nel Medio Evo questa denominazione venne estesa ad ogni cimitero sotterraneo non solo in Roma ma anche in altre parti dell’Impero. Ma solo a Roma fu però possibile una ricognizione approfondita, grazie all’elevato numero di catacombe rimaste. Situate quasi sempre fuori le mura, utilizzando spesso cavità naturali o cave abbandonate, le catacombe erano di solito costituite da un ingresso all’aperto e visibile, senza particolari caratteristiche architettoniche, a cui seguiva un atrio con panche di marmo e da cui si diramava una serie di gallerie, dette cripte, dal percorso oltremodo irregolare, che seguivano la conformazione del suolo. Queste gallerie, larghe in media 80-90 centimetri e alte due metri e mezzo circa, si estendevano nella sola Roma, per oltre cento chilometri, contenendo circa settecentocinquantamila tombe. Lungo le pareti erano ricavate le tombe o loculi, a gruppi di quattro o cinque sovrapposte, con il lato lungo a vista. Le lastre di chiusura erano ricoperte da uno spesso strato di malta su cui venivano graffite delle iscrizioni con il nome del defunto ed altre notizie che lo riguardavano. Dopo l’editto di Costantino (313 d.C.) prevalse l’uso di seppellire i morti all’aperto, accanto le chiese, per cui le catacombe cominciarono ben presto a cadere in abbandono.
Le esplorazioni delle catacombe iniziarono nel XVI secolo, intensificandosi a partire dal 1578, quando casualmente fu scoperto il cimitero di Priscilla. Il corpo di Urbico fu rinvenuto in uno di questi cimiteri sotterranei e precisamente in quello detto di Santa Agnese, dal nome della basilica costantiniana sorta lì accanto.
Come e quando Urbico morì lo ignoriamo e forse non lo sapremo mai; di certo sappiamo che egli non appartenne al gruppo dei Santi Battezzati dalla Chiesa in quanto il suo nome fu trovato scolpito su una lapide che chiudeva un loculo del cubicolo del Buon Pastore nelle catacombe, appunto di S. Agnese.
Il dono delle reliquie
In quei primi tempi di cospicui ritrovamenti, i Pontefici usavano donare le reliquie rinvenute nelle catacombe ad importanti personaggi che, desiderosi di dare maggior lustro alle chiese dei borghi, in cui erano nati o a cui erano particolarmente legati, supplicavano il Papa che volesse favorirli con un tale dono. Fu così che Papa Innocenzo X, nell’anno 1645, donò ad Alessandro Caroelli, signore di Agognate, il corpo di Santo Urbico, come risulta dalle lettere testimoniali del Cardinale Ginetto, Vicario di Roma e di Monsignor Alfonso Sacrati, Vescovo di Comaclio, suo vicegerente. Nell’anno 1678 il nobile Giuseppe Urbico Valeriano Caroelli, Canonico coadiutore della basilica di San Gaudenzio e figlio di Alessandro, a sua volta donava le reliquie alla chiesa di Agognate, come si rileva dall’atto di ricognizione a rogito del notaio Giovanni Pietro Morone in data 3 dicembre dello stesso anno. Il parroco di allora, don Bernardino Cattaneo, provvide alla costruzione di una piccola urna in legno di noce con fregi di argento, in cui fu posto il corpo del Santo e di ciò ne fa fede l’atto di deposizione a rogito sempre del notaio Morone in data 18 giugno 1681. Nello stesso tempo il parroco inviò una supplica al Vescovo di Novara, affinché concedesse di esporre le sacre reliquie alla pia venerazione dei fedeli.
Monsignor Giuseppe Maria Meraviglia rispose affermativamente con suo decreto 22 aprile 1682, stabilendo che si celebrasse, nella seconda domenica di maggio di ogni anno, una festa di rito doppio in onore del Santo e autorizzandone per quello stesso anno il primo solenne trasporto da farsi “con accompagnamento di sacerdoti in sacri paludamenti, con gran numero di ceri, ornamenti per le vie, con gran devozione e segni di speciale letizia”.
Nell’archivio parrocchiale non si hanno memorie di altri solenni trasporti; solo si conservano documenti degli anni 1744 e 1745 che dimostrano come i nostri padri, in presenza di gravi flagelli quali siccità e guerre, ricorressero all’intercessione del Santo, chiedendo al Vescovo speciale licenza di esporre le reliquie anche per più giorni.
Una solenne traslazione del corpo di Santo Urbico avvenne il 24 luglio del 1932, per opera del parroco di allora don Giovanni Bassi e l’ultima, dei giorni nostri, nel 1988, quando l’urna fu deposta nella nostra attuale chiesa di Santa Rita.